
Un silenzio impressionato ha accolto, alla prima proiezione destinata alla stampa, Gomorra, il film che Matteo Garrone ha tratto dal libro sulla camorra di Roberto Saviano (venduto in Italia da Mondadori in un milione e 200 mila copie, tradotto in 33 lingue, un successo straordinario). Il film, parlato in napoletano con sottotitoli, esce in 400 sale italiane venerdì e passa in concorso al Festival di Cannes il 18: è magnifico e terribile. All’inizio, un giovane sta nella luce azzurra d’una cabina abbronzante, un altro seduto porge la sinistra alla manicurer, esempi dell’aspirazione all’estetica pubblicitaria dell’ultima generazione camorrista. Dopo un attimo, sono cadaveri; gli spari secchi li colpiscono spietati in fronte, in testa, in faccia. Alla fine, due ragazzini ammazzati sulla spiaggia perché volevano essere indipendenti vengono portati via, piano piano, sotto il cielo plumbeo, da una macchina edile. Toni Servillo, perfetto delinquente in giacca e cravatta, discute con un industriale una commessa di rifiuti tossici: «La nostra azienda è in grado di smaltirne 800 tonnellate». Un ragazzino che si depila le sopracciglia chiama una donna e, quando quella s’affaccia alla porta di casa, viene ammazzata in un baleno. Il paesaggio urbano è angusto, ferroso, in abbandono; nelle piccole stanze delle case il nervosismo sembra condensato dalla mancanza di spazio e d’aria. Il gran film sulla camorra, ambientato senza nomi nelle province di Napoli e di Caserta, recitato da interpreti molto bravi, pare un formicaio attivissimo e furente, sempre in movimento per il potere, i soldi, il sangue, l’affiliazione. Il regista ha girato con «estrema semplicità» e piena efficacia, distribuendo la materia del libro in cinque storie di personaggi: specialmente apprezzabili le storie che illustrano l’uso criminale dei bambini e dei ragazzi, la storia che illustra l’uso criminale del talento (un abile sarto e bravo attore, Salvatore Cantalupo, che lavora grazie agli appalti dell’alta moda, si lascia sedurre dalla concorrenza cinese). Si era detto che Gomorra fosse somigliante ai film di Rosi, di Inarritu, di Sergio Leone, ma non somiglia a nessuno: perché è la prima volta che i personaggi sono così privi di moralità e di aspirazioni. Arricchiscono il film cifre impressionanti: il giro d’affari delle mafie italiane ammonta a 150 miliardi di euro l’anno; la camorra ha ucciso in trent’anni 4 mila persone; gli affiliati delle mafie sono 25 mila, più 200 mila fiancheggiatori. Ogni elemento di Gomorra deriva da fatti realmente accaduti: non è per il film, nel caso, che occorre vergognarsi.
Lietta Tornabuoni 13 May 2008
1 commento:
Il fatto: alla Corte d'Assise di Napoli il difensore di due camorristi presenta un'istanza di legittima suspicione perché lo scrittore Roberto Saviano, la giornalista Rosaria Capocchione del 'Mattino' e il magistrato dell'antimafia Raffaele Cantone (il primo con il libro 'Gomorra', l'inchiesta sull'associazione mafiosa, la seconda per gli articoli sul 'Mattino' di Napoli, il terzo per la sua attività all'antimafia) avrebbero influenzato la corte.
L'istanza è firmata da due camorristi di Casal di Principe, i cosiddetti casalesi, ed è irridente e minacciosa. Saviano è chiamato il "presunto romanziere", per dire che ha inventato favole, la Capocchione "pennivendola", entrambi d'accordo con il magistrato "calunniatore". I firmatari sono: il camorrista Francesco Bidognetti e Antonio Iovine, latitante da 12 anni, entrambi già condannati in primo grado all'ergastolo. E Antonio Iovine è considerato l'organizzatore del traffico di rifiuti della Campania. Ci si chiede: perché i camorristi di Casal di Principe ostentano una tale arroganza verso i giornalisti e i giudici? E perché una tale arrogante provocazione passa quasi sotto il silenzio dei politici e dei media? L'arroganza è una tradizione dei camorristi di Casal di Principe e del loro leggendario capo dal nome salgariano di Sandokan: grande bandito che insultava, minacciava, taglieggiava i suoi impauriti concittadini.
La scarsa attenzione dei politici e dei media si può spiegare con la vigilia elettorale, con la vecchia regola dei politici di 'non parlar di corda in casa dell'impiccato', qui del sistema mafioso che si è allargato dalla Sicilia all'intero Meridione ed è risalito al Veneto e alla Lombardia.
Un argomento scomodo, l'inchiesta di Saviano nel libro 'Gomorra'. Per toglierselo dai piedi le nostre autorità volevano relegarlo in una 'località protetta', cioè all'Asinara, dove erano stati reclusi i brigatisti rossi; ora Saviano, cui va la mia piena solidarietà e quella dei giornalisti de 'L'espresso', vive chiuso in casa e ha una scorta dei carabinieri. Di solito le istanze per la legittima suspicione vengono depositate agli atti senza darne lettura. Ma in questo caso l'avvocato difensore ha potuto leggerla in aula: 60 pagine di insulti e minacce, senza che nessuno dei magistrati presenti reagisse; non era mai accaduto nulla del genere.
La richiesta di legittima suspicione ricorda le dichiarazioni di guerra allo Stato da parte dei corleonesi quando passarono all'uccisione di magistrati e poliziotti. Silenzio dei leader moderati, un breve comunicato Ansa di Veltroni e Bertinotti, una telefonata di Napolitano al direttore del 'Mattino': "Esageruma nen", come diceva Norberto Bobbio.
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