lunedì 8 settembre 2008

La giustizia italiana non può (meglio: non deve) funzionare...

di Alessandro Balducci
Sembra proprio che non ci siano più dubbi: la giustizia in Italia non funziona per una precisa volontà politica.
La classe politica sta perseguendo da anni l'obbiettivo di smantellare il sistema giudiziario e di accertamento della verità esponendo ad un serio rischio i cittadini che restano, di fatto, disarmati ed indifesi di fronte agli attacchi della criminalità, sia di strada che organizzata. E un'ulteriore conferma di questa "suprema volontà" di mettere i bastoni fra le ruote ai Magistrati ed ai Tribunali la si è avuta il 29 luglio.
In quel giorno, alcuni senatori del PD e del PdL (uniti quando si tratta di mettere in crisi l'efficienza del sistema giudiziario e di far pagare ai cittadini le conseguenze nefaste delle loro scelte) hanno partorito un incredibile documento in materia di proposte di riforma(!) della giustizia che merita qualche onesta considerazione.
Incredibile perché questa classe politica si ostina a voler far credere al proprio elettorato (che elargisce ai parlamentari anche gli onorevoli stipendi!) che per far diventare la giustizia un servizio per il cittadino e rendere ragionevolmente veloci i processi secondo i dettami del riformato art. 111 Cost., occorra mettere mano niente di meno che alla Costituzione (un'altra volta!)
NON E' VERO! Non è assolutamente vero che per accelerare i tempi della giustizia occorra passare per forza per una modifica della Carta Fondamentale quale può essere l'abolizione dell'obbligatorietà dell'azione penale, come proposto dagli illustri senatori.
Esistono dei provvedimenti semplici che possono essere presi da subito, senza danneggiare le garanzie degli imputati e senza toccare la carta fondamentale. Ma per far questo occorrerebbe che i Senatori ragionassero col senno di un normale capo-famiglia, il quale, quando si trova a dover risolvere un problema, prima di imbarcarsi in soluzioni faticose e dispendiose, prova con i sistemi più semplici ed economici.
Tempo fa il nostro sito era già intervenuto sull'argomento (rif. articolo su Bollettino: "Piccole idee per migliorare la giustizia"); in questi giorni l'ottimo Bruno Tinti, già autore del libro "Toghe rotte", in uno scritto comparso su un quotidiano nazionale ha segnalato come basterebbe intervenire sugli aspetti e sulle norme più farraginose adottando poche ma incisive misure - senza modificare la Costituzione - che porterebbero incommensurabili vantaggi e restituirebbero efficienza alla disastrata macchina giudiziaria italiana.
Pensiamo, per esempio, all'assurdo ed antidiluviano sistema delle notifiche che da solo è responsabile di buona parte della lentezza dei processi e dello spreco di risorse umane materiali. Perché nel documento del 29 luglio non viene previsto "un diverso regime delle notifiche, per esempio l'obbligo per ogni avvocato di avere un indirizzo e-mail e la validità delle notifiche effettuate in questo modo (così si risparmiano gli ufficiali giudiziari)?". Perché non si prevede "l'obbligo per ogni imputato di eleggere domicilio presso il suo avvocato?" Così da non costringere i giudici a "fare i salti mortali per trovarlo ogni volta e rinviare il relativo processo".
Sono anni che il giudice Davigo denuncia come una parte consistente del carico di lavoro dei magistrati milanesi riguardi la punizione dei viaggiatori che falsificano il biglietto della metropolitana. E così la magistratura impiega tempo e personale per perseguire i "portoghesi" sul metrò istituendo processo di primo grado, Appello e Cassazione, quando basterebbe una depenalizzazione del reato punibile con una sanzione amministrativa, per consentire una migliore utilizzazione delle già poche risorse. Inoltre, ora che si completino tutti e tre i gradi di giudizio, il reato cade in prescrizione e così si lavora per niente.
E poi siamo sicuri che per ogni reato bisogna sempre procedere col processo, i cui tempi sono talmente lunghi che nella maggior parte dei casi i procedimenti vengono fulminati dalla prescrizione? Se ci si vuole sempre riferire agli Stati Uniti, perché non si ricorda che in quel Paese solo il 10% delle inchieste avviate arriva al processo vero e proprio, mentre il resto viaggia su riti alternativi come il patteggiamento?
In questo modo il processo vero e proprio verrebbe riservato solo per i reati considerati complessi o di tale gravità da richiedere un'attenta disamina nel dibattimento, mentre gli autori di quei reati che non costituiscono un pericolo particolare per la società, come appunto la già citata falsificazione del biglietto della metro, potrebbero essere velocemente risolti col patteggiamento od altro rito alternativo.
L'assurdo è che in Italia il legislatore ha introdotto il patteggiamento con l'obbiettivo di decongestionare i Tribunali e di velocizzare i tempi della giustizia, ma ben pochi sono coloro che se ne avvalgono perché, in fin dei conti, conviene tirare avanti col processo così si arriva all'agognata prescrizione e tutto finisce lì.
Non e' necessario mettere sempre mano alla Carta Fondamentale per risolvere i problemi della giustizia. Semmai, come l'esperienza insegna, questo è un sistema per evitare di risolvere i problemi introducendo dei rimedi che quasi sempre sono peggiori del male che si vuole affrontare. Il più delle volte bastano pochi provvedimenti mirati ed eseguiti nell'interesse dei cittadini - e non di questo o di quel politico che ha bisogno della tal legge per rintuzzare le indagini delle Procure o per scampare agli arresti.
Misure che, se ci fosse la VERA e CONCRETA VOLONTA', sia da parte della maggioranza che dell'opposizione, di far funzionare la giustizia potrebbero essere approvate in mezz'ora di lavoro del parlamento! Ma forse proprio per questo non si fanno.
Speciale giustizia

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