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mercoledì 23 dicembre 2009
SI al confronto in parlamento, NO a leggi ad personam.
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Internet patrimonio dell'umanità
Il dibattito sulle regole della rete, avviato dopo l’aggressione al premier Berlusconi e la creazione di alcuni gruppi su Facebook che inneggiavano alla violenza, ha segnato un passo importante. Dalla riunione, voluta al Viminale dalministro dell’Interno Maroni, con i principali operatori di internet e i rappresentanti dei social network (presente anche il responsabile europeo di Facebook, Richard Allan) si è rafforzata l’ipotesi di un codice di autoregolamentazione condiviso che garantisca il diritto alla libertà di espressione permettendo al tempo stesso di rimuovere gli interventi che si configurassero come reati.
Un interessante contributo alla riflessione, svincolato dalle questioni italiane, ma denso di spunti, viene da un intervento su El Paìs di Ignacio Arroyo, docente di diritto mercantile all’Università Autonoma di Barcellona. Arroyo esamina la situazione giuridica della rete nei vari paesi partendo dal principio che si debba “proteggere internet come un bene comune dell’umanità”.
Tre le considerazioni che Arroyo sottopone al dibattito:
1. Problemi comuni esigono soluzioni comuni. Internet pone “un problema planetario, comune a tutta l’umanità”. Il web ha permesso per la prima volta nella storia la comunicazione senza frontiere fra gli uomini, l’accesso libero e gratuito alla cultura e al sapere. Ha esteso a tutti la libertà di espressione. Per tutelare questi diritti, senza rinunciare a combattere l’illegalità e le sue conseguenze, la strada da percorrere è la convocazione di una conferenza internazionale con l’obiettivo di arrivare a una convenzione internazionale su internet e le sue applicazioni.
2. La seconda considerazione si sviluppa su quattro principi:
3. Conclusioni finali: “Non credo che la repressione penale serva a qualcosa”, scrive Arroyo, perché “l’importante è stimolare la cultura e il sapere”. E sotto questo profilo nessuno può avere dubbi: internet oggi è insostituibile.
Scritto da: Marco Pratellesi alle 14:23 - www.corriere.it