mercoledì 28 aprile 2010

IL NOSTRO 25 APRILE: COI PUGNI SULLE TEMPIE (di Italo Calvino)


I sette fratelli Cervi: Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio, Ettore, il primo quarantadue anni, l'ultimo ventidue; fittavoli d'una fattoria emiliana, furono fucilati il mattino del 28 Dicembre 1943, al tiro a segno di Reggio Emilia, da un plotone d'esecuzione fascista. Al ricordo di questo fatto, certamente uno tra i più tragici della nostra lotta di liberazione, la commozione si appunta su quel numero di sette, sulla tremenda strage familiare, sul dolore quella madre e di quel padre. Ma non vorremmo che in questo primo spontaneo moto dell'animo si esaurisse la traccia lasciata dal sacrificio dei Cervi, cioè che si trascurasse soverchiati dalla pietà e dall'esecrazione, di conoscere chi realmente furono quei sette fratelli.


Ecco a pochi chilometri da Reggio, tra Campegine e Gattalico, il fondo di Fraticello. Una vasta casa colonica, tra verdi prati da foraggi era ed è la casa dei Cervi. Ci vivono ora le quattro vedove e gli undici figli dei Cervi; la vecchia famiglia patriarcale è unita oggi come allora, intorno ad Alcide Cervi, il vecchio Cide, il padre dei sette e intorno alla memoria dei fucilati e della madre, morta di dolore poco dopo.


Quando i Cervi presero in affitto questo fondo, nel 1934, erano una povera famiglia di Campegine, carica di debiti, di bocche da sfamare, con poche bestie; e questo era un terreno poco produttivo, accidentato e pieno di dislivelli. Ma i sette braccia forti e idee in testa. E per prima cosa decisero di spianare tutta la campagna. [...] Il livellamento dei terreni non era ancora diventata pratica comune, allora; i Cervi furono i primi. Appianato, percorso da canali di irrigazione, il loro fondo cambiò faccia in poche stagioni.


"Teste nuove" erano considerati i Cervi nei dintorni; cioè gente che viene fuori ogni momento con qualche idea mai sentita, come quella stalla modello, quell'abbeveratoio razionale, cose imparate sui libri; però la fattoria dei Cervi con tutte quelle idee nuove e tutte quelle schiene sempre al lavoro prosperava di bene in meglio, e l'allevamento di bestiame che misero su faceva invidia a tutti. A casa Cervi i contadini dei dintorni ci capitavano sovente; sempre diffidenti e pronti a criticare ma pur sempre curiosi e pronti ad imparare quando vedevano che c'era del buono. Frequentarli troppo poteva anche essere pericoloso, perché i Cervi erano "rossi" e non facevano mistero con nessuno della loro avversione per duce, fascio, impero e tutto il resto. Ma anche nella previsione degli avvenimenti politici(prezzi dei prodotti, concimi ecc.) pareva impossibile ci azzeccassero sempre. Segno che quella loro mania di leggere i libri alla sera, invece di andare all'osteria, piantati con i pugni sulle tempie a cavarsi gli occhi tutti e sette intorno a un tavolo, qualcosa serviva.

Erano una famiglia fuori dal comune; che i sette fratelli fossero così uniti e in buon accordo era già un fatto fuori dall'ordinario.

Gelindo, il fratello maggiore, era quello con più autorità, ancor più del padre. Ma i Cervi erano come una repubblica e prima di decidere qualcosa ne discutevano tutti insieme, e ognuno diceva la sua, il padre e la madre insieme ai figli, come due di loro.

La coscienza politica, però, era stato Aldo (incarcerato a Gaeta per aver sparato per errore ad un tenente colonnello) a portarla in famiglia. [...] A Gaeta, come in ogni carcere d'Italia, era facile incontrare i comunisti. E Aldo li incontrò. Qui lesse molti libri, discusse di storia, d'economia e di politica. Tornò così a casa con un sistema di idee ben preciso. Con i fratelli e il padre gli fu facile continuare le discussioni del carcere, e procurarsi libri per approfondire i problemi.

[...] Studiavano la storia d'Italia in cinque grossi volumi d'un popolare testo illustrato; e leggevano Gorki e Anatole France ma anche Dante e Omero e Virgilio.


[...] Dopo l'8 Settembre casa Cervi diventò un rifugio di soldati sbandati e prigionieri stranieri fuggiaschi. Ci passarono un centinaio di persone in quei mesi, sovietici, inglesi, un aviatore americano, un tedesco disertore. L'attività partigiana era agli inizi. Di squadre di pianura non ne esistevano ancora, furono i Cervi ad avere la prima idea. Ed era Aldo il più impegnato nella lotta.

[Col tempo la situazione divenne rischiosa. E la loro casa era ormai segnalata alle forza nazi-fasciste. Occorreva far la guardia la notte per presidiare la stalla piena di fuggiaschi]. Ma il 25 Novembre la guardia era appena smontata, perché era già chiaro [n.d.r. il cielo].

I fascisti arrivarono a piedi con uno spiegamento di forze come dovessero circondare un paese. Quando i Cervi, le donne e i prigionieri sentirono i primi spari, la fattoria era già circondata. Credevano di poter resistere e cominciarono a rispondere dalle finestre con qualche bomba a mano e qualche raffica d'una mitragliatrice che presto s'inceppò.

I fascisti diedero fuoco ad un'ala della casa. Il capitano Pilati intimò la resa. Non c'era scampo, i fascisti erano troppi e la casa bruciava. I Cervi uscirono a mani alzate.

Furono portati a Reggio, al carcere dei Servi, i sette figli e il padre.

Negli interrogatorii Aldo prese su di sé la responsabilità [...] per salvare i familiari ed esser così fucilato lui solo.

[Il tempo passa e, comunque, tentarono di fuggire e l'ultimo tentativo era previsto per il 30 Dicembre] Ma il 27 Dicembre in un'azione partigiana venne giustiziato il segretario del fascio di Bagnolo di Piano; a notte si riunì il Tribunale Speciale di Reggio ed il 28 mattina i sette fratelli insieme al giovane Quarto Cimurri (un disertore dell'esercito repubblichino) furono passati per le armi.

Morirono da "cinici" dissero i fascisti; che in bocca la nemico, è quanto dire: "da eroi"!


[...]Ecco arrivare da lontano il vecchio Cide. E' un ometto basso, nodoso, di parola calorosa e pronta. "I miei figli? - dice - scrivete questo; che dire uno era come dire sette, e dire sette era come dire uno!"

Vorrei dirgli che sotto i suoi occhi, in questa casa, sono avvenuti fatti d'importanza storica enorme; lo sviluppo politico e culturale e tecnico d'una avanguardia contadina in pieno fascismo, la nascita d'un nucleo di fraternità internazionale in piena guerra, le prime esperienze di nuove forme di lotta partigiana che dovevano poco dopo propagarsi in tutta l'Italia occupata.

Ma forse il vecchio Cide non mi intenderebbe.

E' una storia familiare, questa, per lui; è un lutto familiare il suo, come quello di tanti che hanno perduto i figli in guerra. Ma tra le vicende che studiavano i suoi figli coi pugni sulle tempie intorno al tavolo nei volumi della vecchia storia d'Italia, questa storia familiare deve trovare il suo posto.


Italo Calvino da "L'Unità" di Domenica 27 Dicembre 1953

1 commento:

Leonardo Matera ha detto...

Abbiamo deciso di portare quest'articolo del grande Italo Calvino perchè il 25 Aprile è la data di tutti gli italiani e, come tale, va festeggiata.
Le parole dell'immenso sscrittore colgono il pubblico ed il privato di tale ricorrenza.
E ci sembrava giusto ricordare i fratelli Cervi, caduti come tanti per un futuro migliore. Quello stesso futuro che un pò gli ha dimenticati (si veda la figuraccia di Berlusconi quando volle solo provare a trattare quest'argomento).
Noi, come membri del PD e come cittadini, ribadiamo la nostra gioia e la nostra speranza nel futuro in questa data così pregna di signifacato. La stessa speranza che animò tutti i partigiani che, sacrificandosi, accesero la fiamma del futuro per la nostra patria.

P.S. Ci scusiamo immensamente per il ritardo..ma il 25 Aprile abbiamo festeggiato manifestando in Piazza contro lo sfacelo della vecchia amministrazione!