Professor Beppe Vacca, circa tre mesi fa in un’intervista alla Gazzetta lei disse che il candidato naturale del centrosinistra per la presidenza della Regione Puglia non poteva che essere Nichi Vendola. Ha per caso cambiato idea? Per chi voterà alle primarie?
«Guardi, la situazione è radicalmente mutata. Non si tratta più di scegliere il candidato all’interno della vecchia coalizione, dove Vendola, avendo governato bene, non poteva che essere il candidato di tutti e quindi innanzitutto del Pd. Ora c’è una situazione del tutto nuova. In Puglia e laddove è possibile, si sta tessendo una rete di alleanze con l’Udc».
Una scelta strategica.
«Esatto. Ed è proprio su questa scelta che si vota domenica. Non tanto sulle qualità di Vendola e di Boccia. In un caso, si sceglie la coalizione meridionalista con l’Udc, nell’altro invece non si andrebbe oltre la Puglia, come se non facesse parte dell’Italia, come se si votasse solo qui».
Ma è stato Vendola a non seguire il Pd in questo suo avvicinamento all’Udc? O chi governa il Pd non è stato capace di convincerlo?
«Questo è un ragionamento puramente retrospettivo, molto poco interessante. Penso che sia più utile ragionare su qual è la posta in gioco di queste primarie».
Ce lo dica. Qual è la posta in gioco?
«In gioco c’è la possibilità di essere in campo sia come Pd, sia come coalizione di centrosinistra. Penso alle dinamiche che si stanno sviluppando con una crescente accelerazione fra le forze politiche soprattutto all’interno del centrodestra e in rapporto all’Udc. Con il partito di Casini, che esce da quattro anni di navigazione solitaria, si sta delineando una convergenza. Grazie al nuovo indirizzo strategico del Pd di Bersani, c’è la possibilità di cominciare a costruire quell’alternativa all’egemonia berlusconiana e al governo Berlusconi che è la ragion d’essere del Pd come tale».
Per l’Udc, però, resta tutt’altro che superata la politica dei due forni. O no?
«Guardi, la politica dei due forni non è una cosa di corto respiro come si usa dire. Soprattutto se la si collega a tutti gli elementi che fanno il quadro complessivo. Occorre legarla all’obiettivo primario dell’Udc, che è di arrivare a cambiare la legge elettorale e ad articolare il bipolarismo italiano secondo un modello che sinteticamente è quello della legge elettorale tedesca. Il che è anche l’obiettivo prioritario del programma di Bersani».
Ma crede davvero che questo progetto di disarticolazione possa realizzarsi con Berlusconi vivo?
«Io voglio augurare a Berlusconi lunga vita. Però non posso non vedere che da circa due anni la scena politica italiana, malgrado la tenuta forte del consenso a Berlusconi e al suo governo, è caratterizzata da un’incrinatura e da una crescente crisi della funzione coalizionale centrata sul suo carisma».
A che cosa allude?
«Basta vedere come ha cominciato a muoversi Fini, da subito, alludendo alla necessità di costruire la cultura politica di una destra costituzionale quale il Pdl a oggi non è. Basta vedere come Tremonti sta governando l’economia in questa legislatura in maniera molto diversa, direi quasi opposta, dal punto di vista dei concetti fondamentali, rispetto a come aveva governato tra il 2001 e il 2006».
Dov’è la differenza?
«Ad esempio, nell’assunzione del nesso europeo della finanza italiana come priorità assoluta. Tremonti sta addirittura contribuendo addirittura a definire un secondo ciclo dell’integrazione europea dopo la battuta d’arresto del primo che è quello cominciato con il trattato di Maas tricht».
E poi?
«Basta vedere come cambiano i suoi concetti, il suo lessico. Nella sua relazione al convegno dei giovani industriali a Capri, c’è tutt’altro che retorica. C’è il concetto fondamentale della questione meridionale come questione nazionale. E cioè che non si può continuare a governare l’Italia mettendo Nord contro Sud. Bisogna assumere la questione meridionale come paradigma per poter governare l’Italia in funzione della sua tenuta unitaria e della sua capacità di competere. Altrimenti, non c’è trippa per gatti. Perché da dieci anni il Paese è fermo dal punto di vista dello sviluppo economico. Questa non è retorica. Dietro c’è un assillo evidente. Anche Tremonti è estremamente preoccupato di come ridisegnare una destra in cui, venendo progressivamente in crisi la saldatura fra ceti moderati e populismo, di cui l’alfiere è Berlusconi, si riesca a tener dentro, ma neutralizzando possibilmente, la Lega. Perché evidentemente c’è una crescente preoccupazione: sia per la tenuta dell’Italia dal punto di vista del finanziamento del debito sui mercati internazionali, sia sulla tenuta unitaria del Paese. Questo è il contesto nel quale il Pd cerca di far politica. È un contesto nel quale questa articolazione delle forze non sarebbe concepibile se non ci fosse già in campo il Pd come interlocutore di Fini, a certe condizioni interlocutore di Tremonti, alleato in via di costruzione con l’Udc. E tutto questo ha nelle elezioni regionali il passaggio decisivo perché lì poi si ridefiniranno i rapporti di forza».
Ma in questo contesto, c’è ancora spazio per qualcosa di sinistra?
«Certo che c’è. Questo è l’unico modo di dare una proiezione nazionale anche alla sinistra di Vendola. Se Vendola, che ha in Puglia la sua principale risorsa politica e di consenso da spendere, non riesce a collegare questo ad una proiezione nazionale, a parte il fatto che si accrescono enormemente i rischi di perdere le elezioni, la Puglia viene fortemente emarginata come capacità di assolvere un ruolo meridionalistico rilevante nella politica nazionale. E soprattutto la storia politica di Vendola non ha futuro».
E quindi Vendola che cosa dovrebbe fare?
«È lui che deve vedere come dare proiezione nazionale alla costruzione di un’alternativa all’egemonia di Berlusconi. Bisogna ragionare serenamente su un processo storico: prepararsi, giocando attivamente le carte che ognuno, secondo il modo in cui interpreta la sua missione nazionale, ritiene di dover fare. Questa è la partita e questo è il passaggio».
Ma lei è così convinto che Vendola perda le primarie? E se poi si ripete ciò che accadde cinque anni fa, lei e tutto il resto del Pd che cosa fate?
«Semplice. Non potremo che appoggiare Vendola alle elezioni, consegnando però la nostra strategia nazionale al respiro del tutto regionale ed improbabile entro il quale Vendola si colloca attualmente. E seguirlo nella probabile sconfitta».
di STEFANO BOCCARDI
ritengo che questa intervista a Beppe Vacca, dia la dimensione e l'importanza che le primarie di domenica 24 gennaio, hanno per il futuro politico regionale e nazionale, a noi la scelta!!!
tony gallitelli
3 commenti:
democristiani e comunisti insieme?mah non riesco a capire e non riesco a capire come si possa andare ancora oggi dietro i discorsi di massimo d'alema il vero artefice della rovina della sinistra.
Il Pd mi fa godere (ma anche no)
di Andrea Scanzi
Sono affascinato, ragazzi. No, non dalle autoreggenti della Brambilla, per quanto io e Gigi (è così che chiamo Amicone) sogniamo California quando le guardiamo.
Sono affascinato dal Pd. Più ancora, da quelli che hanno scoperto solo adesso cosa sia il Partito Democratico. Benvenuti sul Pianeta Terra, cari (cari, cit) polli di allevamento.
La prodigiosa lentezza mentale di certi soloni è per me, da sempre, fonte di giubilo. L’hanno capito ieri, i cantori della sinistra riformista, in data 19 dicembre 2009, chi siano (veramente) D’Alema, Bersani e i massimalisti dell’inciucio. Wow, che velocità, che prontezza di riflessi, che guittezza. Neanche Gabor Talmacsi nella MotoGp uno scatto così. Bravi, cari (cari, cit) polli di allevamento. Alla fine ci siete arrivati anche voi. E’ già qualcosa.
Quando vi siete svegliati del tutto, tra un greatest hits della Mannoia, un miserere di Jovanotti e un’omelia di quel mattacchione di Scalfari, fatemi un fischio.
Il fatto, però, è che – una volta scoperta the dark side of the Baffetto (che poi there’s no dark side of Baffetto really, matter of fact it’s all dark, cit) – adesso avvertite il desiderio di abbandonare la zattera che affonda. Quella zattera affonda dal giorno in cui incollarono i tronchi con la Coccoina, ma ognuno ha i suoi tempi.
E così vi sentiti delusi, ingenui, traditi. Derisi e disgregati. Da qui la voglia (inaccettabile) di emigrare altrove.
Non sia mai, compagni: il Pd è ancora un luogo meraviglioso. Per almeno 14 motivi – e dico 14 perché mi sono un po’ rotto le palle di questa cosa del dieci.
Vado a elencarli, con la dovizia di sempre. Ecco 14 motivi per cui sarà bello morire piddini. Ecco perché il Pd mi fa godere (ma anche no).
Militando nel Pd non hai l’obbligo di dire cose intelligenti. Non hai neanche l’obbligo di dire cose. Più che altro, militando nel Pd non hai proprio l’obbligo. Non hai. E basta.
Il risotto mantecato di D’Alema è tuttora meraviglioso, e – se hai un po’ di fortuna – a tavola potrai trovare anche Vissani, Violante e i pizzini autografi di Latorre. Daje.
Nel Pd uno come Jovanotti è derubricato alla voce intellettuale. Questo, a una prima analisi, suona frustrante. Ma a una seconda, no: se Jovanotti è un intellettuale, c’è speranza per tutti.
Il Pd è una panacea placida e assonnata. Rassicurante. Per aderire al progetto, basta non prendere mai posizione (se non sbagliata). E quando qualcuno – i soliti cacadubbi giustizialisti – vi farà notare che così fate il gioco di Berlusconi, potrete sempre rispondergli – citando l’Enciclica Proraso di Polito o il Vangelo secondo Macaluso – che “noi siamo per il dialogo”, “noi siamo per la democrazia”. “Noi siamo buoni”. Hasta Bicamerale Siempre.
Il Pd era il partito perfetto di Rutelli.
Il Pd è il partito perfetto della Binetti.
La linea politica del Pd è l’impalpabile. Però ammantato di sicumera (altrimenti poi non fai pendant con Nanni Moretti).
Il Pd è l’acqua calda che tarda a uscire dal rubinetto (cit). Non un difetto, bensì l’ulteriore stimmate della vostra santità democratica. Perché voi sietre puri e casti: come l’acqua (appunto). Mentre gli altri sanno solo criticare; dicono solo no: e voi lo sapete, che così non si risolve nulla. Voi siete per costruire, mica (solo) per distruggere. Ebbene, cari (cari, cit) polli di allevamento, rampognate costoro – i disfattisti – con parole di fuoco, battezzandoli - all’acme dell’invettiva – con un epidittico (?): “Andate a sculacciare i billi con quell’analfabeta di Di Pietro e quel terrorista mediatico di Tartag… ah ehm Travaglio”.
Il Pd gode di buona stampa. E ancor più buoni salotti. Se sei triste, puoi farti invitare dalla Dandini. Se sei ancora più triste, puoi farti invitare da Fazio. Se sei ancora ancora più triste, puoi comunque ridere a caso per una battuta della Littizzetto. Ognuno ha le amache (cit) che si merita.
Solo dentro il Pd puoi provare l’ebbrezza che dà il rimpianto per Veltroni. Non è nostalgia, non è passatismo: è canna del gas. Lisergico spinto. Meglio del peyote.
Il Pd è così vecchio che chiunque abbia meno di 87 anni (età cerebrale) sembra gggiovane.
Il Pd è un Vic 20 in attesa di formattazione, così lento all’avvio che qualsiasi file chiamato Serracchiani pare l’ultima versione di Adobe Photoshop.
Il Pd è così tardo che in confronto Debra Morgan è una guitta.
Il Pdmenoelle è la polizza per la vita di Silvio Berlusconi e del berlusconismo.
Vamos.
E ora andiamo tutti a chiedere l’amicizia a Massimo D’Alema, sempre ammesso che sappia cosa sia Facebook (voi lo sapete: un covo di brigatisti).
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