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Gli annunci e i destini. Tra settembre 2008 e febbraio 2009, secondo l'European Restructuring Monitor, in Italia sono stati annunciati tagli al personale per quasi ventimila posti. Dentro queste cifre, ci sono i destini di uomini e donne. Ci sono storie che rischiano di vedere interrotto il loro svolgersi quotidiano. Ci sono le migliaia di dipendenti di Alitalia-Cai, i 1.800 addetti di Eutelia e i 600 di Indesit dello stabilimento di None nel piemontese. Ma la crisi non colpisce solo le grandi imprese. L'onda spinge anche sulle piccole e le medie aziende. Nell'ultimo scorcio dell'anno, dice Unioncamere, i principali indicatori congiunturali per l'intero aggregato delle piccole realtà produttive sono tutti in rosso: la produzione è scesa del 6,4 per cento, il fatturato del 5,3 per cento e gli ordinativi del 7,2 per cento.
L'impiego e la paura. In questo momento esatto, secondo l'indagine realizzata da Robert Half International, azienda di servizi per le imprese nell'ambito della risorse umane, un italiano su due teme che l'urto della crisi possa arrivare ad infrangere il fragile castello del proprio impiego. Sono soprattutto le donne e gli under 40 a sentire la situazione appesa ad un filo. Il 61 per cento delle lavoratrici si dice insicura, contro la media del 37 per cento dei loro colleghi uomini. Le ragioni sono riconducibili alla natura precaria del legame contrattuale che spesso caratterizza queste due categorie. "I lavoratori under 40 e le donne - spiega Carlo Caporale, senior manager di Robert Half International - sono frequentemente assunti con contratti a termine. Ovvero quei contratti che, specialmente in momenti di incertezza economica, rischiano di non essere rinnovati alla scadenza". I 3 milioni di precari sul filo. Nel settore dell'edilizia, avvertono i sindacati, nel 2009 rischiano di esserci 250 mila occupati in meno. Nel settore chimico, Filcem-Cgil, sono 20 mila i posti in bilico. La presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, in occasione dell'incontro a Palazzo Chigi sulla crisi dell'auto, ha detto che il calo di ordinativi, se confermato, può provocare la perdita di 300 mila posti. Mario Draghi, il governatore di Bankitalia, in occasione del congresso del Forex davanti a banchieri e operatori finanziari, ha avvertito che il peggio deve ancora arrivare. A rischio, ha detto Draghi, sono in particolare "le fasce deboli e meno protette, i lavoratori precari, i giovani, le famiglie a basso reddito". Tre milioni di lavoratori a termine, interinali e a progetto. Tre milioni di persone con un contratto che scadrà, al massimo, entro l'anno. Secondo l'Ente bilaterale nazionale per il lavoro temporaneo, nel corso del 2009, ci saranno tra i 40 e i 75 mila posti di lavoro interinali in meno. Tutti coinvolti. La crisi tocca chi non ha avuto nulla a che fare con la bolla finanziaria e quella fitta rete di speculazioni che poggiava su basi fragilissime. La rabbia, il disagio e la frustrazione sono forti. Ci sono operai, impiegati d'ufficio, giovani architetti e professionisti del web. Commesse di magazzino e addetti di call center. Ma anche manager e tecnici ad alta professionalità. Rispetto a un anno fa, secondo l'indagine di Robert Half, la proporzione di chi si sente meno sicuro del proprio impiego è molto elevata quale che sia la posizione ricoperta in azienda. Ha paura il 49% degli "operativi" e il 47% di chi svolge mansioni manageriali. Le ripercussioni di questo stato delle cose ricadono anche sulle attività di ogni giorno. Per Caporale "il clima di incertezza diffuso rischia di danneggiare e compromettere la capacità dei lavoratori di reagire e di cogliere prontamente tutte le opportunità che gli si presentano. Per le aziende il rischio è quello di dovere fare i conti con una struttura indebolita e poco reattiva che dovrebbe, al contrario, essere pronta a reagire soprattutto nel momento in cui il mercato si riprenderà". Paragone internazionale. Se si fa un confronto tra nazioni, secondo gli autori della ricerca, gli italiani si ritrovano tra quelli che sentono il proprio impiego più a rischio. Nella classifica si ritrovano subito dopo i giapponesi (ha timore, pure se in gradi diversi, il 63 per cento) e gli irlandesi (il 62 per cento) e insieme agli inglesi e ai lavoratori di Singapore e Hong Kong (vedi tabella). Gli stessi valori si riscontrano quando ai lavoratori si chiede se la crisi globale, nell'ultimo anno, ha colpito, e in che modo, la crescita dell'impresa in cui lavora. A sentire di più gli effetti negativi, anche qui, sono soprattutto irlandesi, giapponesi, italiani, spagnoli e lavoratori del Regno Unito (vedi tabella).
Le storie delle persone e gli strumenti del governo. Il lavoro è tra le vere emergenze del sistema Italia. Per questo sembra necessario che siano per prime le persone a raccontare le loro storie. A dire cosa sta accadendo nelle loro imprese. Cosa sta accadendo al loro impiego e alle loro vite. E cosa pensano sia necessario che il governo faccia per loro. Perché il posto di lavoro e le persone contano più di ogni cosa. Perché senza l'impiego, ciascuno di noi perde, oltre che la fonte di reddito, il legame con la società, con l'identificazione e con il senso delle proprie azioni.
SEGNALAZIONI:
03-03-2009 Pierluigi Bersani
Bersani: pensioni? Prima di toccarle meglio intervenire sull'evasione
Corriere della Sera Enrico Marro
03-03-2009 Enrico Letta
«L'assegno è da 10 miliardi. E otto il governo ce l'ha già»
Il Riformista Antonio Polito
02-03-2009 Enrico Letta
"Facciamo pagare i più ricchi"
"Ma prima di tutto Palazzo Chigi ci porti la riforma delle pensioni"
La Stampa Alessandro Barbera
02-03-2009 Jean Leonard Touadi
Quattro risposte da
L'Unità Marco Bucciantini
01-03-2009 Piero Fassino
«Basta con le doppie verità di Berlusconi»
«Accanto a chi soffre per la crisi»
Il Giornale di Sicilia Giacinto Pipitone
5 commenti:
Ho letto Generazione Nuova Dimensione che parla di etica nella politica, indicando la via della meritocrazia e aborrendo il clientelismo.
Quanta ipocrisia.
Chi lavora all'ILVA?
LE famiglie italiane sparigliano le carte alla Gelmini. O il governo, per accontentare le richieste di mamme e papà della scuola elementare, dovrà rinunciare alle economie di spesa previste dalla Finanziaria oppure le famiglie non potranno essere accontentate.
I dati diffusi ieri dal ministero dell'Istruzione sulle scelte che riguardano la scuola primaria (l'ex elementare) nascondono una verità: nove famiglie su 10 non potranno avere le 30 ore settimanali richieste all'atto dell'iscrizione. A meno che il governo non modifichi i criteri sulla formazione degli organici del personale della scuola già concordati con il ministero dell'Economia. Insomma, un bel pasticcio.
Ieri, le famiglie italiane hanno sonoramente bocciato il modello-Gelmini per la scuola elementare. Le 24 e le 27 ore in prima elementare, considerate il modello di riferimento per il futuro, hanno ottenuto soltanto il 10 percento delle preferenze. La stragrande maggioranza ha scelto il modello attuale a 30 ore (il 56 per cento) o quello a tempo pieno di 40 ore (il 34 per cento). Ma in quanti potranno essere accontentati a settembre? Decisamente pochi, visto che il ministero ha già scritto nero su bianco che l'organico per le prime classi verrà calcolato in base alle 27 ore settimanali.
Di conseguenza, le classi a 30 ore che sarà possibile attivare dipenderanno dalle economie realizzate con la formazione delle classi a 24 ore. Secondo una prima stima realizzata da Repubblica, su oltre 20 mila prime classi ne potranno funzionare appena 600 con 24 ore settimanali e altrettante ne dovrebbero essere attivate a 30 ore. Ma la richiesta delle 30 ore da parte dei genitori dei piccoli che fanno il loro ingresso alla scuola primaria è di gran lunga superiore.
In sostanza, attenendosi scrupolosamente ai dati di viale Trastevere, su quasi 294 mila famiglie che hanno richiesto un tempo scuola di 30 ore a settimana potranno essere accontentate meno di 16 mila. Cosa diranno le 278 mila famiglie che si vedranno appioppare un orario diverso da quello richiesto?
E non è neppure detto che potranno essere accontentati coloro che hanno scelto le 24 e le 27 ore. Il perché è presto detto. In Italia ci sono 16 mila plessi di scuola elementare e circa 16 mila sono state le famiglie che hanno optato per le 24 ore: in media un bambino per plesso. Mentre le famiglie che hanno richiesto le 27 ore sono 36 mila: poco più di 2 bambini, a conti fatti, per ogni plesso.
Ma le regole per la formazione delle classi sono tassative: almeno 10 bambini per classe. Anche coloro che hanno dato credito a settembre si ritroveranno in difficoltà: verrà probabilmente proposto loro di cambiare plesso o di accontentarsi di un altro modello orario. A meno che, per accontentare mamme e papà, l'esecutivo non decida di allargare i cordoni della borsa.
c'è da dire, che in tutto il casino che succederà nella scuola primaria, gli inseganti di religione rimarrano al loro posto. Per loro non sono previsti tagli.
Si perchè...gli insegnanti di religione vengono "formati" dalla curia, SELEZIONATI dalla curia...ma pagati dallo stato.
Invece succederà che un insegnante con più di 25 anni di lavoro si troverà ad essere perdente posto e sarà sbattuto per tutta la provincia a fare supplenze quando capita...
In tutto questo risparmiare, i soldi alle scuole dei preti comunque sono arrivati.
Cuffaro da oggi fa parte della commissione di vigilanza Rai.
Totò Cuffaro: condannato per favoreggiamento semplice a 5 anni di reclusione e a interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Questa gente non conosce vergogna.
"Generazione" giornale del Sindaco rinviato a giudizio dalla Procura della Repubblica di Taranto può dire e scrivere cose sui cittadini di Laterza? per'altro con arroganza e disprezzo?
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