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Nuclei monoreddito, con un alto numero di componenti a carico, in cui nemmeno la laurea e il lavoro dipendente danno sufficienti garanzie per una vita dignitosa e in cui gli autonomi sono più a rischio dei pensionati. È la fotografia che emerge dall’indagine sui redditi e le condizioni di vita delle famiglie meridionali pubblicata sull'ultimo numero della pubblicazione trimestrale della Svimez. Lo studio, condotto su dati Eurostat e Istat relativi al 2005 e al 2006, evidenzia come più di un meridionale su tre è stato esposto al rischio povertà contro l’11% del centro-nord. Sicilia e Puglia sono risultate le regioni con il più alto rischio di povertà (40% e 37%). Nel 2005, al sud, una famiglia su tre ha guadagnato tra 500 e 1500 euro al mese, contro il 18,4% del centro-nord. Tra i fattori che incidono sulla diseguaglianza dei redditi c'è l’incidenza di famiglie monoreddito, più alta al sud (47% contro il 41% del centro-nord. Il rischio di povertà è inoltre determinato dalla condizione lavorativa: il 51% dei disoccupati meridionali è infatti a rischio, percentuale che si dimezza al centro-nord (26%). Ma non si salva nemmeno chi lavora: quasi il 35% degli autonomi nel sud e quasi il 20% dei dipendenti è a rischio. Nel resto dell’Italia le percentuali sono riducono dalle 3 alle 5 volte.
Quanto all’età, nelle due aree la situazione è diametralmente opposta: se al centro-nord sono in pericolo gli anziani over 65, al sud sono i giovani con meno di 24 anni a essere penalizzati. In generale, inoltre, studiare di meno mette più a rischio, ma si trova in condizioni svantaggiate anche il 9% dei laureati meridionali. I meno abbienti hanno una percentuale di esclusione sociale molto più alta degli altri: nel 2005 al sud più di un povero su tre non è mai andato a teatro, al cinema, a visitare una mostra o ad assistere a un evento sportivo.
Lo studio mette anche in evidenza come il 15% e il 21% delle famiglie meridionali ha avuto difficoltà a pagare bollette e affitti, quasi il doppio rispetto al centro-nord. Quasi il 78% delle famiglie meridionali, infine, non è riuscito a mettere da parte risparmi e il 41% ha dichiarato di non poter sostenere una spesa imprevista di 600 euro.
2 commenti:
No San Vitur? Ahi ahi ahi ahi!»
Pare passato un secolo da quando Cuore faceva il verso a uno spot televisivo sbeffeggiando chi non era ancora finito a San Vittore e pubblicava il «bollettino dei latitanti» e sparava titoli come «Scatta l’ora legale / Panico tra i socialisti».
Da quando Massimo D’Alema liquidava le parole di Bettino Craxi su Mario Chiesa dicendo che dare del «mariuolo» a qualcuno era «un modo troppo semplice di cavarsela».
Da quando la notizia di un avviso di garanzia all’ex premier Giovanni Goria fu accolta dall’assemblea diessina con un applauso.
Mal comune mezzo gaudio?
Non hanno senso, a destra, certi commenti del tipo «chi di tangenti ferisce, di tangenti perisce».
Sono forse comprensibili, da parte di coloro che per anni sono stati additati come i monopolisti della mala-politica. Ma non hanno senso.
Così come appare insensato quel sollievo a sinistra nel sottolineare che nelle retate e negli scandali di questi giorni, tra tanti esponenti del Pd, è rimasto invischiato anche qualche protagonista della destra, quale ad esempio Italo Bocchino.
Il guaio è che il nodo della corruzione in Italia, al di là delle sorti giudiziarie degli indagati, cui auguriamo di dimostrare un’innocenza cristallina, è rimasto irrisolto dai tempi in cui Silvio Berlusconi racconta che «a Milano non si poteva costruire niente se non ti presentavi con l’assegno in bocca».
Lo dicono decine di processi in tutto il Paese.
Lo confermano gli studi di Grazia Mannozzi e Piercamillo Davigo che esaminando 20 anni di casellari giudiziari hanno accertato che la bustarella non è tramontata mai anche perché le condanne per corruzione (poi ci sono le assoluzioni, le prescrizioni ...) sono nel 98% dei casi inferiori ai due anni.
Lo denuncia la Banca Mondiale, secondo cui se ne vanno in tangenti, in Italia, 50 miliardi di euro l’anno, tutti soldi che poi, a causa dei rincari delle commesse, pesano sulle tasche dei cittadini.
Così come pesano ancora sulle pubbliche casse le mazzette di una volta, che secondo il centro Einaudi di Torino incisero, soltanto negli anni Ottanta, «dal 10 a quasi il 15% del deficit complessivo».
Lo testimoniano infine le classifiche sulla percezione della corruttela elaborate da Transparency: nel 1993, in piena Tangentopoli, eravamo al 30˚posto tra i Paesi virtuosi. Nel 2007 stavamo al 41˚e quest’anno siamo precipitati al 55˚.
Dietro (a parte la Grecia che di questo passo sorpasseremo a ritroso) abbiamo solo Paesi come la Turchia, la Tunisia, la Georgia, la Colombia ...
Davanti abbiamo il Portorico, il Botswana, Cipro ...
Qualcuno obietterà che si tratta di graduatorie da prendere con le pinze. Giusto. Ma certo la nostra reputazione, in questo settore, è pessima.
La tentazione che pare serpeggiare qua e là, a destra e a sinistra, è quella di uscirne dando una regolata alla magistratura: meno inchieste, meno arresti, meno scandali, meno indignazione popolare, meno astensione alle urne.
Ma ammesso che qualche giudice abbia esagerato: sarebbe questa la soluzione?
Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili …
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato…
Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione….
Io so i nomi del gruppo di potenti…
Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica…
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici… ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni…
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti … di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove…
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero…
Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi.
Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.
A chi dunque compete fare questi nomi? …
Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al potere. In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa…
Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico - non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento - deciderà di fare i nomi dei responsabili …che evidentemente egli sa, come me,… non può non avere prove, o almeno indizi…
Pier Paolo Pasolini
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