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Nel clima rovente di questi giorni è fin troppo facile perdere lucidità. E’ troppo facile prendersela con i magistrati e con una loro certa voglia di protagonismo. Sì, c’è anche questo aspetto, ma è marginale, non è il problema. Così come il problema non è la riforma della giustizia, che prima o poi bisognerà pur varare. Ciò con cui bisogna fare i conti è proprio la cosiddetta questione morale, due parole che si sono trasformate in uno slogan logoro, forse ancora buono per qualche convegno.
Il dilagare del malcostume e della mala amministrazione portano purtroppo ad alcune amare considerazioni.
La prima. La corruzione è praticata a ogni livello ed è un morbo contagioso che colpisce da Nord a Sud: ovunque ci sia del denaro pubblico lì c’è un possibile focolaio d’infezione tangentizia.
La seconda. Per contrastare questa situazione non è più pensabile - per la verità non lo era neppure prima - che possa bastare la logica del penalmente rilevante. Perché quando le situazioni arrivano al «penalmente rilevante» vuol dire che le mazzette sono già in tasca a qualcuno.
Terza considerazione. È facile a parole chiedere una rifondazione morale della società, scomodare i mostri sacri dell’etica pubblica, ma questi sono processi di lungo periodo, complessi e che è impossibile gestire quasi fossero i lavori di un convegno.
La prima. La corruzione è praticata a ogni livello ed è un morbo contagioso che colpisce da Nord a Sud: ovunque ci sia del denaro pubblico lì c’è un possibile focolaio d’infezione tangentizia.
La seconda. Per contrastare questa situazione non è più pensabile - per la verità non lo era neppure prima - che possa bastare la logica del penalmente rilevante. Perché quando le situazioni arrivano al «penalmente rilevante» vuol dire che le mazzette sono già in tasca a qualcuno.
Terza considerazione. È facile a parole chiedere una rifondazione morale della società, scomodare i mostri sacri dell’etica pubblica, ma questi sono processi di lungo periodo, complessi e che è impossibile gestire quasi fossero i lavori di un convegno.
La prima reazione può essere di rabbia o di scoraggiamento. Non bisogna cedere. Fino a quando in ogni città ci sarà una persona onesta si avranno ragioni per sperare. Il passaggio più difficile da compiere è convincere e convincersi che la pratica dell’onestà è più redditizia, soprattutto sul piano economico. Senza tutte le ruberie, costruire opere pubbliche richiederebbe la metà del tempo e un terzo dei denari che oggi mediamente si impiegano. Siamo tra i contribuenti più tartassati: riflettiamo sul fatto che buona parte delle nostre tasse si perdono nei mille rivoli delle tangenti, delle consulenze, dei favori, dei sì da dire per costruire il consenso e poter avere così la possibilità di accedere a un livello più alto della piramide corruttiva.
Siamo in tempo di crisi economica, anzi di recessione. In molti rischiamo di dover abbassare il tenore di vita. Ce la faremo con qualche sacrificio e qualche rinuncia, anche se ci costeranno perché non siamo più abituati. Però anche il giro delle tangenti deve avere il suo venerdì nero. Soprattutto deve scomparire quella zona grigia in cui è difficile distinguere la linea che separa l’onestà da tutto il resto. Se vogliamo arrivare a un qualche risultato occorre tornare a ragionare con la logica del bianco e nero: non abbiamo più la tensione etica per consentirci sfumature nei comportamenti e nei giudizi. Questo significa - per esempio - premere sui partiti perché escano dalla vita pubblica non solo i condannati, ma anche e principalmente i «chiacchierati». Il senso della Stato invocato più volte dal presidente della Repubblica deve tradursi in una dittatura dell’onestà. Non si può continuare ad assistere alla farsa delle «autorizzazioni a procedere» che non vengono concesse neppure nei casi di più evidente compromissione dei parlamentari indagati. Per coerenza semantica bisognerebbe parlare di «negazioni a procedere». Un sacrosanto principio di difesa delle idee e delle prerogative dei rappresentanti del popolo si va trasformando ormai in una sorta di diritto feudale per cui tutti i cittadini possono essere perseguiti tranne che i parlamentari. Da questo equivoco bisogna uscirne, senza leggi né riforme né interventi speciali: è sufficiente che alla logica dell’interesse privato si sostituisca quella dell’interesse pubblico.
Ci aspetta una stagione lunga e difficile, forse più dell’inverno preannunciato dai meteorologi. Ma dopo ogni inverno, per fortuna, c’è sempre una primavera.di Michele Partipilo - Gazzetta del Mezzogiorno
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