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Vorrei chiedere se c'è differenza. Ma non fra la destra e la sinistra così, in astratto - due parole che, ormai, rimandano solo a muffiti emicicli e pianisti svogliati. Non fra l'applicazione ugualmente brutale di due opposti programmi, o la corruzione equamente diffusa "ma forse di là un po' di più".
Vorrei chiedere loro se c'è differenza fra il progettare una scuola e immaginare un parcheggio. Se c'è differenza fra il diritto ad essere curati e il dover dare un prezzo alla propria salute. Se c'è differenza nel bere a una fontanella e comprare una bottiglia d'acqua al supermercato. Se c'è differenza fra l'assunzione di medici e maestri e il loro licenziamento. Se c'è differenza fra i fondi alla ricerca libera e il suo assoggettamento ad interessi parziali. Se c'è differenza fra mezzi pubblici efficienti e il costo della benzina. Se c'è differenza fra un salario minimo sostenibile e quattrocento euro al mese. Se c'è differenza fra la cassa integrazione e il niente, la certezza dell'assunzione e il niente, fra diritti, garanzie, e il niente.Vorrei sapere se c'è differenza fra il finanziare l'edilizia sociale o favorire la speculazione privata. Se c'è differenza fra il permettere a pochi di allargarsi la cantina e il dare a tutti quanti una casa. Se c'è differenza tra il diminuire le disuguaglianze ed aumentarle. Se c'è differenza fra l'aumento delle spese sociali e il loro smantellamento; fra la comunione dei beni e la loro svendita ai privati; fra la presenza di regole che proteggono tutti, o la loro assenza, che favorisce solo i potenti e conduce, inevitabilmente, a una giustizia di classe.Perché per me c'è differenza, e non è una differenza da poco. E' la linea di demarcazione molto netta che ancora oggi distingue chi ha costruito la storia delle sue vittorie e dei suoi fallimenti nelle lotte sociali, e chi invece ha derivato i suoi programmi dalle paure e dalle miserie.
C'è una differenza, c'è ancora: e se dire sinistra significa dire queste cose, per me è necessario farlo. In questo contesto è l'indifferenza ad essere colpevole e criminale, insita certamente nella nostra natura di popolo battuto, umiliato, sedotto e abbandonato da decine di eserciti stranieri; ma che adesso si sta aggravando nello shock pesante di una crisi economica e una tragedia nazionale. Questo è un vecchio canovaccio, d'altronde: il disorientamento - anche ideologico - che assale la popolazione ai margini dello scuotimento, ne converge lo sguardo sul presente e la rende incapace di abbracciare con la mente ciò che stanno facendo al suo futuro. Si approfitta dello stato di temporanea incapacità d'intendere e di volere per privarla delle scuole, delle mense, delle case, degli ospedali, degli autobus e della giustizia, della libertà di movimento e del diritto al dissenso, delle garanzie contrattuali e delle protezioni sindacali, e infine della sua stessa capacità di immaginare un mondo dove vivere sia meno faticoso, meno laborioso, e più appagante; della sua stessa capacità di giudicare un mondo così non un'utopia astratta e irrealizzabile, ma un suo diritto - qui e ora.D'altronde non è colpa nostra se abbiamo dimenticato dov'è e di cosa è fatta questa linea di demarcazione, questa differenza. Hanno scritto e detto di tutto per convincerci che pretendere un futuro migliore sia direttamente collegabile a regimi totalitari e criminali. Ci hanno imbottito di quel qualunquismo caldo e accogliente, l'illusione mite di avere un posto nel mondo e un'opinione su tutto. E in quest'amalgama meravigliosamente soffice che si fa chiamare alternanza, accordo e concertazione - e alla quale si sono piegati, primi fra tutti, i nostri dirigenti - ci stanno allegramente privando di secoli di rivendicazioni e conquiste sociali.Dura svegliarsi da questo torpore di fronte alle macerie di edifici pubblici crollati per l'incuria di uno Stato profondamente disinteressato al sociale e alle sue esigenze. Dura riscoprire il senso di comunità e la percezione dell'ingiustizia in maniera tanto impudica e infelice. Dura cercare di rivendicare, assieme alla dignità perduta, il senso di questa differenza, dell'importanza delle lotte sociali, nella speranza che possano - un domani - stornare altre crisi e altre tragedie evitabili.
Vorrei chiedere loro se c'è differenza fra il progettare una scuola e immaginare un parcheggio. Se c'è differenza fra il diritto ad essere curati e il dover dare un prezzo alla propria salute. Se c'è differenza nel bere a una fontanella e comprare una bottiglia d'acqua al supermercato. Se c'è differenza fra l'assunzione di medici e maestri e il loro licenziamento. Se c'è differenza fra i fondi alla ricerca libera e il suo assoggettamento ad interessi parziali. Se c'è differenza fra mezzi pubblici efficienti e il costo della benzina. Se c'è differenza fra un salario minimo sostenibile e quattrocento euro al mese. Se c'è differenza fra la cassa integrazione e il niente, la certezza dell'assunzione e il niente, fra diritti, garanzie, e il niente.Vorrei sapere se c'è differenza fra il finanziare l'edilizia sociale o favorire la speculazione privata. Se c'è differenza fra il permettere a pochi di allargarsi la cantina e il dare a tutti quanti una casa. Se c'è differenza tra il diminuire le disuguaglianze ed aumentarle. Se c'è differenza fra l'aumento delle spese sociali e il loro smantellamento; fra la comunione dei beni e la loro svendita ai privati; fra la presenza di regole che proteggono tutti, o la loro assenza, che favorisce solo i potenti e conduce, inevitabilmente, a una giustizia di classe.Perché per me c'è differenza, e non è una differenza da poco. E' la linea di demarcazione molto netta che ancora oggi distingue chi ha costruito la storia delle sue vittorie e dei suoi fallimenti nelle lotte sociali, e chi invece ha derivato i suoi programmi dalle paure e dalle miserie.
C'è una differenza, c'è ancora: e se dire sinistra significa dire queste cose, per me è necessario farlo. In questo contesto è l'indifferenza ad essere colpevole e criminale, insita certamente nella nostra natura di popolo battuto, umiliato, sedotto e abbandonato da decine di eserciti stranieri; ma che adesso si sta aggravando nello shock pesante di una crisi economica e una tragedia nazionale. Questo è un vecchio canovaccio, d'altronde: il disorientamento - anche ideologico - che assale la popolazione ai margini dello scuotimento, ne converge lo sguardo sul presente e la rende incapace di abbracciare con la mente ciò che stanno facendo al suo futuro. Si approfitta dello stato di temporanea incapacità d'intendere e di volere per privarla delle scuole, delle mense, delle case, degli ospedali, degli autobus e della giustizia, della libertà di movimento e del diritto al dissenso, delle garanzie contrattuali e delle protezioni sindacali, e infine della sua stessa capacità di immaginare un mondo dove vivere sia meno faticoso, meno laborioso, e più appagante; della sua stessa capacità di giudicare un mondo così non un'utopia astratta e irrealizzabile, ma un suo diritto - qui e ora.D'altronde non è colpa nostra se abbiamo dimenticato dov'è e di cosa è fatta questa linea di demarcazione, questa differenza. Hanno scritto e detto di tutto per convincerci che pretendere un futuro migliore sia direttamente collegabile a regimi totalitari e criminali. Ci hanno imbottito di quel qualunquismo caldo e accogliente, l'illusione mite di avere un posto nel mondo e un'opinione su tutto. E in quest'amalgama meravigliosamente soffice che si fa chiamare alternanza, accordo e concertazione - e alla quale si sono piegati, primi fra tutti, i nostri dirigenti - ci stanno allegramente privando di secoli di rivendicazioni e conquiste sociali.Dura svegliarsi da questo torpore di fronte alle macerie di edifici pubblici crollati per l'incuria di uno Stato profondamente disinteressato al sociale e alle sue esigenze. Dura riscoprire il senso di comunità e la percezione dell'ingiustizia in maniera tanto impudica e infelice. Dura cercare di rivendicare, assieme alla dignità perduta, il senso di questa differenza, dell'importanza delle lotte sociali, nella speranza che possano - un domani - stornare altre crisi e altre tragedie evitabili.
2 commenti:
“Giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole si sappia; il resto è propaganda. Il suo compito è additare ciò che è nascosto, dare testimonianza e, pertanto, essere molesto” (Horacio Verbitsky
voglio proprio sentire cosa ha da dire gianni florido, viene solamente a chiedere i voti.................che schifo!!!!!!
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