di Tito Boeri* 06.08.2008
Il Parlamento approva la manovra economica depressiva del Governo, che prevede un ulteriore incremento della pressione fiscale, mentre ci sarebbe bisogno di ridurre le tasse sul lavoro per allontanare lo spettro di una recessione. L'unica novità di rilievo introdotta dal Parlamento è la misura sui precari che applica al mercato del lavoro il metodo seguito dal Presidente del Consiglio nell'affrontare i suoi problemi con la giustizia: si interviene sui processi in corso. Una manovra insomma che non da speranza. Mentre non si perde occasione per predicare la paura.
Sono tempi difficili. L'inflazione non accenna a diminuire. L’economia più forte del mondo, quella degli Stati Uniti, è stata colpita da tre shock simultanei – il nuovo shock petrolifero, il crollo della Borsa e lo scoppio della bolla immobiliare – e una recessione oltreoceano appare a questo punto inevitabile. Sarà così stagflazione 30 anni dopo. L'Europa si trova in una posizione leggermente migliore degli Stati Uniti perché l'apprezzamento dell'Euro rispetto alla divisa statunitense (grazie Euro!) mitiga gli effetti del caro petrolio. Tuttavia l'Italia è molto più vulnerabile degli altri paesi del Vecchio Continente perché proviene da 15 anni di stagnazione in cui il reddito pro-capite è sceso sotto non solo la media dell’Unione europea a 15, ma anche dell’UE19, che include Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria. I salari reali degli italiani in questo periodo sono rimasti piatti come le lande dei Paesi Bassi e sono ora del 30-40 per cento inferiori a quelli pagati in Francia e Germania. E il nostro paese continua a non avere un paracadute, una rete di protezione sociale di base che tuteli chi perde il posto di lavoro e cade in condizioni di povertà estrema.
COSA DOVREBBE FARE IL GOVERNO
La cosa più giusta da fare in questo momento sarebbe quella di utilizzare tutti questi proventi straordinari per abbassare la pressione fiscale sul lavoro. Questo avrebbe effetti espansivi sia sulla domanda – che è addirittura diminuita in termini reali nell’ultimo anno – che sull’offerta. Infatti i salari netti aumenterebbero e parte della riduzione delle tasse porterebbe a una riduzione del costo del lavoro man mano che i contratti vengono rinnovati (il che favorirebbe anche una conclusione più rapida delle molte vertenze in corso), favorendo così l'assorbimento del nostro immenso bacino di persone in età lavorativa che non hanno un impiego. Un modo per fare tutto questo senza complicare ulteriormente la nostra struttura fiscale consiste nell'aumentare le detrazioni fiscali per chi lavora, il che è legittimato anche dall'aumento dei costi per la produzione di reddito (dato il caro trasporti).
COSA FA INVECE
*Ph.D. in Economia alla New York University, per 10 anni è stato senior economist all'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, poi consulente del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, della Commissione Europea e dell'Ufficio Internazionale del Lavoro. Oggi è professore ordinario all'Economia Bocconi, dove ha progettato e diretto il primo corso di laurea interamente in lingua inglese. E' Direttore della Fondazione Rodolfo Debenedetti, responsabile scientifico del festival dell'economia di Trento e collabora con La Stampa.
Nessun commento:
Posta un commento