C'è un dato quantitativo, che conferma il mancato sfondamento. E qui il giudizio non può prescindere dai dati di partenza, che erano già di per sé eccezionali. Il centrosinistra si presentava a queste amministrative forte del risultato clamoroso e irripetibile del 2004: aveva vinto 51 province e 26 comuni capoluogo, contro le 9 e 6 rispettivamente conquistate dal centrodestra. Cinque anni dopo, il 6 giugno scorso il centrodestra aveva avviato una promettente rimonta, vincendo il primo turno e battendo il centrosinistra 26 a 14 nelle province e 9 a 5 nei comuni capoluogo.
Quindici giorni dopo, il centrosinistra re-inverte la tendenza, vincendo i ballottaggi e superando il centrodestra 15 a 7 nelle province e 12 a 4 nei comuni. Il quadro complessivo di questo voto locale, dunque, ci consegna un sostanziale pareggio: la maggioranza in carica prevale in 33 province e in 13 comuni, mentre l'opposizione mantiene 29 province e 17 comuni capoluogo. Non proprio un Paese governato ovunque dal monocolore azzurro, insomma. Piuttosto, e ancora una volta, un Paese trasversalmente tagliato a metà, e fortemente polarizzato tra due schieramenti "anelastici", che scambiano flussi nel perimetro interno senza mai valicare quello esterno.
Ma c'è anche un dato qualitativo, che non può essere sottovalutato. Province e comuni capoluogo non si possono solo contare: vanno anche "pesati". Anche da questo punto di vista, benché il Pdl abbia strappato al Pd la provincia di Milano e di Venezia, non si può parlare di "marcia trionfale" del centrodestra. Al Nord il Pd perde terreno, ma mantiene qualche presidio importante: Padova tra i comuni, ma poi anche Torino, Alessandria, Belluno e Rovigo tra le province. Al Centro il Pdl espugna Ascoli e Prato dopo 63 anni, ma nell'insieme la ex "zona rossa" della dorsale appenninica, tra comuni e province, resta saldamente in mano al Pd: da Firenze a Ferrara, da Bologna a Forlì, da Rimini a Parma, da Rieti a Fermo. La stessa cosa vale per il Sud, dove il Pdl conquista Lecce, ma il Pd si riconferma da Bari a Brindisi, da Crotone a Cosenza. Detto altrimenti: al Popolo delle Libertà non riescono più i clamorosi cappotti alla siciliana di qualche tempo fa, mentre al Partito democratico, almeno per ora, sembra evitato lo spettro di vedersi immiserito a quella "Lega dell'Appennino" più volte preconizzata da Tremonti.
Certo, in questo esito ha giocato un ruolo fondamentale l'astensionismo, che si è rivelato la vera novità di una velenosa e accidiosa stagione elettorale italiana. Un astensionismo che prima di tutto ha finito di uccidere il referendum sulla legge elettorale, con il tasso di partecipazione più basso della storia repubblicana, frutto delle troppe strumentalizzazioni cui i quesiti sono stati sottoposti, oltre che della consueta, abusata distorsione dello strumento referendario compiuto in questi decenni. E poi ha condizionato fortemente anche il voto amministrativo: quanti leghisti se ne saranno andati al mare, preferendo l'affondamento del referendum contro la porcata di Calderoli al sostegno del candidato dell'alleanza di centrodestra? Sta di fatto che l'ennesimo fallimento della consultazione popolare impone un ripensamento dell'istituto: se vogliamo salvare questa importante forma di democrazia diretta, piuttosto, eliminiamo il quorum ed alziamo di molto la soglia della raccolta delle firme. Ma di questo ci sarà tempo e modo per discutere. Sul piano politico, questo ciclo di voto si presta ad almeno due considerazioni di fondo.
La prima riguarda la maggioranza. O meglio, il premier. Sembra incredibile, a poco più di un anno dal trionfo del 13 aprile 2008, che aveva consacrato il Cavaliere come uno "statista" baciato dal consenso e aveva cementato una maggioranza con numeri "bulgari" in Parlamento. Eppure è accaduto: la metamorfosi si è compiuta. Il cigno è già un'anatra zoppa. Vulnerata dalla sua stessa, tragica esondazione egotistica, prima ancora che dalla sua drammatica inazione politica. La sovrapposizione delle europee e delle amministrative fotografa la vera novità della fase: l'insuccesso, l'appannamento, la crisi del Cavaliere. Sancita dalle preferenze, che si fermano a quota 2 milioni e 700 mila con la somma dei voti dei due ex partiti (Forza Italia ed An) mentre raggiunsero quota 2 milioni e 900 mila nel 1994 e nel 1999, quando a votarlo era solo il suo partito personale.
Palesata dai consensi a livello locale, e soprattutto a Bari, che per ovvi motivi (l'inchiesta sulle feste nelle dimore berlusconiane) era diventato un test pilota, quasi un referendum. Ebbene, tutto dimostra quanto era già evidente da tempo, e quanto solo i vacui replicanti del premier si ostinavano a non vedere: il torbido terremoto a sfondo sessuale che fa vacillare le mura di Villa Certosa e di Palazzo Grazioli ha un contenuto politico incancellabile, e un impatto sociale innegabile. A destra lo hanno ammesso persino antichi sodali dell'uomo di Arcore, come Marcello Dell'Utri, e lucidi intellettuali vicini al presidente della camera Fini, come Alessandro Campi. Solo i ventriloqui del Re Travicello come Bondi, Cicchitto o Gasparri si ostinano a negare questa evidenza.
La seconda considerazione riguarda l'opposizione. O meglio, il Pd. Il risultato in Puglia, e nelle altre zone dove è stato possibile l'accordo con l'Udc, dimostra che il dialogo con il centro di Casini è forse l'unica via per tentare una riapertura del gioco politico. Per provare a scongelare i due blocchi contrapposti, in una ricomposizione difficile ma forse non impossibile. Nei ballottaggi l'Udc ha adottato la politica dei due forni: in 7 province si è alleato con il centrosinistra, in 10 con il centrodestra. La stessa cosa ha fatto nei comuni, firmando un'alleanza con la sinistra in 3 casi, e con la destra in 7. L'epilogo di questo opportunismo neo-democristiano di Casini dimostra che, dove è stato possibile, l'alleanza con la sinistra ha premiato. E avrebbe premiato persino a Milano, se fosse andato in porto l'accordo per sostenere Penati. Anche questo, in vista del congresso di ottobre che a questo punto non sarà un funerale, impone una seria riflessione, che può utilmente incrociare anche un ragionamento sulla riforma della legge elettorale: in queste condizioni un ritorno sul modello tedesco, proporzionale con la soglia di sbarramento, potrebbe essere una soluzione da valutare, vista anche la disponibilità teorica della Lega.
L'Italia che esce dal voto non è bipartitica, ma resta bipolare. Anche di questo occorrerà tener conto, per definire il profilo di un'opposizione che, mai come ora, ha il dovere di riprofilarsi e di ripresentarsi al Paese come un'alternativa seria, vera, credibile. Di fronte al "complottismo" e alle "teorie cospiratorie" che lui stesso alimenta, il Cavaliere tradisce uno "stile paranoico" (raccontato a suo tempo da Richard Hofstadter) che non promette nulla di buono. Le "scosse" al governo e alla maggioranza sono arrivate. Non c'entravano le spallate giudiziarie. C'entra la politica. E per lui è persino peggio.
MASSIMO GIANNINI
(Repubblica, 23 giugno 2009)
16 commenti:
vi pongo un quesito...quasi un gioco.
Mi interessa davvero molto la vostra risposta, soprattutto quella di alcuni assidui frequentatori di questo blog.
C'è un piccolo stato dove a breve ci saranno le elezioni per eleggere il Presidente del consiglio. Un tema molto toccato nella campagna elettorale è "cibo etnico VS cibo tradizionale del luogo".
Parte della popolazione è a favore del cibo etnico mentre un'altra parte vuole assolutamente che si proteggano le tradizioni culinarie locali, vietando la rivendita di cibi non locali.
Ci sono 2 candidati. Il primo dice di voler vietare qualsiasi rivendita di cibo etnico. Però...lui ogni tanto il kebab lo mangia e ogni tanto pranza con i suoi amici in un ristorante cinese.
Ma a parte questo...assicura i suoi elettori che con lui al potere nessun cibo etnico sarà più venduto nel piccolo stato.
Il secondo candidato è più aperto, vuole si difendere le tradizioni locali, però non ha nessuna intenzione di vietare la vendita di cibo etnico. Secondo lui non è vietando le altre cucine che si rafforza quella locale.
Il secondo però, a differenza del primo, non mangia MAI ne kebab, ne cibo cinese ne qualunque altro cibo etnico.
ora mettiamo il caso che voi abbiate interesse a difendere ad ogni costo il cibo tradizionale del luogo perchè magari siete dei ristoratori.
la domanda è: CHI VOTERESTE?
se avete 2 minuti liberi...vi prego di rispondere. Mi interessa davvero.
Grazie mille.
Beh io per deformazione mentale mi ritroverei più nel secondo candidato.
Se poi fossi un ristoratore, a maggior ragione non potrei approvare misure che direttamente mi favoriscano...
grazie per la risposta.
Forse però non ho ben compreso un passaggio, questo: "Se poi fossi un ristoratore, a maggior ragione non potrei approvare misure che direttamente mi favoriscano..."
Beh, vietando i cibi etnici mi favorirei direttamente, che in altro linguaggio si chiama "conflitto di interessi"!
a ecco...ora ho capito.
Grazie.
altre risposta?
Io voterei per il secondo, perchè se tutti gli stati proteggessero il proprio cibo locale, io ristoratore finirei per vendere solo nel mio.
Voterei per il secondo senza ombra di dubbio.
P.S. davvero "bello" l'ultimo manifesto della PdL. Credevo che con il manifesto "le invasioni barbariche" (potete ancora visionarlo nella colonna sx in "homepage") avessimo toccato il fondo, mi sbagliavo. In ogni modo, ritengo (parlo a titolo personale) che quei festeggiamenti fossero leggermente fuori luogo.
grazie anche a te.
Sono interessanti le vostre risposte.
poi vi spiego perchè...ma aspetto altri interventi.
francesco scusami, ma non trovo il manifesto...dove è?
L'ultimo (che credo sia intitolato"Il paradosso dello stolto"), l'ho visto a fianco all'ex Ragno, dove ora c'è un fruttivendolo.
il manifesto"le invasioni barbariche"invece lo trovi nella colonna sinistra della home, tra la cartella con i verbali del consiglio comunale e la sezione dedicata al campo sportivo.
ma stolto a chi e' riferito?non ho ancora letto il manifesto
Ne avevo scritto io qui:
http://pdlaterza.blogspot.com/2009/06/buone-idee-portate-in-spalla-da-brave.html
All'opposizione che gentilmente è invitata ad andarsi a ricoverare presso qualche clinica "psicanalitica". Quindi ci indicano sia la clinica che il tipo di psicoterapia da seguire (psicanalitica). Molto solerti e premurosi, non c'è che dire.
Scommettiamo che anche questo manifesto come l'altro non si capirà chi l'ha scritto?
La volta scorsa, si dissociarono dal contenuto il coordinatore di Forza Italia, quello di AN,e l'ass. Minei.
Mah!
se non ci sono grossi "orrori" grammaticali, sicuramente una certa persona non lo ha scritto...
saranno stati fraintesi...
Posta un commento