lunedì 12 gennaio 2009

L'incoscienza della malattia

Di seguito riportiamo un commento approfondito, serio e di estrema attualità, ci dispiace solo che è anonimo.

Non intendo prendere alcuna posizione innocentista o colpevolista con riferimento agli imputati.
Ciò che, però, mi sembra si debba osservare e farne oggetto di riflessione è come la malattia della nostra società e della sua politica sia divenuta così tanto grave da non essere più neppure percepita come malattia.
Il malato ha perso la “coscienza di malattia”, che è il primo requisito per difendersi dalla malattia medesima.

Stabilisce precettivamente l’art. 97 della Costituzione che «i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge».

E tante leggi amministrative e penali dovrebbero presidiare questi principi.

E’ vero che una osservazione di comune esperienza è che tutti gli uffici pubblici di un qualche rilievo sono effettivamente lottizzati dai partiti politici, sicché spesso anche i primari degli ospedali sono scelti secondo l’appartenenza partitica e, dunque, non secondo i criteri di cui all’art. 97 della Costituzione. Ma questo non sta bene ed è criminale. In molti casi integra specifiche fattispecie di reato.

E’ come la raccomandazione.

Si sa che l’Italia è un Paese dove la raccomandazione è molto praticata.

Ma il fatto che sia molto praticata non toglie che sia reato. Se il componente di una commissione di esami – qualunque sia: un concorso universitario, un concorso per l’abilitazione professionale, un concorso per un posto pubblico, ecc. – promuove una persona non perché se lo merita, ma perché gli è stata “segnalata”, questo è puramente e semplicemente un reato. Peraltro, e tanti sembrano non riuscire a capire questa cosa elementare, quando assumi quello che ti è stato “segnalato” e non quello che “se lo merita”, non soltanto favorisci un delinquente; contemporaneamente danneggi una persona capace e – peggio ancora – l’intero Paese, che sprofonda, infatti, nell’incompetenza diffusa e nell’inadeguatezza della sua classe dirigente.

Quindi, mi ha fatto una certa impressione sentire oggi tante persone che ricoprono cariche politiche importanti dire che non ci sarebbe nulla di illegale nel fatto che persone potenti in un partito facciano “carte false” per piazzare primari, dirigenti di aziende pubbliche e simili a questo o a quel posto. E’ molto grave che di questi reati nel nostro Paese se ne commettano a quintalate, ma ancora più grave mi sembra che ormai si sia arrivati a un punto nel quale non ci si rende neppure più conto che sono reati. Mi sconvolge davvero l’apparente “buona fede” (a mio parere solo apparente) di tanti aggressori dei giudici di questi giorni.
A me pare, anzi, che proprio questa sia la malattia della quale stiamo morendo. Una incapacità ormai cronica di distinguere i fatti leciti dagli illeciti e, soprattutto, di percepire che una società complessa per sopravvivere ha bisogno di rispettare certi “schemi” formali.
Questo, a mio modesto parere, è il problema.
Finora, la stragrande maggioranza della classe dirigente di questo Paese (e nella “classe dirigente” comprendo oltre ai politici anche tutti coloro che, in ruoli molto diversi, hanno la responsabilità delle strutture pubbliche) ha seguito due linee guida: da un lato sopravvivere e fare strada nel sistema, dandogli, dunque, alimento e vita e, per altro verso, nascondere a sé e agli altri le conseguenze che queste condotte avevano sulla “tenuta” dell’intero “sistema”.

Oggi il “sistema Paese” (come si usa dire) è alle corde.

Appare evidente che non sopravviverà a questo andazzo.

Il bivio dinanzi al quale siamo impone di scegliere fra riconoscere la malattia e disporsi a pagare i prezzi inevitabili per una “marcia indietro” e il lento ma concreto recupero di una parvenza di legalità oppure la definitiva distruzione degli ultimi modesti e inefficaci strumenti di controllo della legalità. La seconda delle due opzioni equivarrebbe alla scelta di un malato che, sentendosi diagnosticare dai medici la malattia, li butti tutti fuori di casa e distrugga tutti i termometri. Quindi, quando nulla e nessuno certifica più la sua malattia, sentenzi sorridente: “Vedete, non sono malato”.
In questa direzione vanno con evidenza le richieste di quei molti deputati che ieri hanno invocato addirittura un decreto legge che vieti le intercettazioni telefoniche. Il loro schema logico è: le intercettazioni fanno scoprire i reati, eliminiamo le intercettazioni.
Nessuno ipotizza che la soluzione possa essere smettere di commettere i reati, piuttosto che impedirne l’accertamento. Spiace doverlo dire, ma l’intera vita pubblica del nostro Paese si svolge dentro una enorme colossale e costante menzogna. Tutto è falso. I discorsi dei politici, le motivazioni degli atti amministrativi, i voti nelle assemblee e nei concorsi, i rapporti fra le persone, le alleanze, tutto.
Si finge di affermare dei valori, si promulgano delle leggi, ma ciò che davvero si fa è del tutto diverso da ciò che si dice.
Ma una società non può vivere costantemente nella menzogna.
Qualcuno ha detto: “si può mentire a qualcuno per sempre, a tutti per un certo tempo, ma non a tutti per sempre”.
Dicevo che è in discussione la stessa sopravvivenza degli ultimi presìdi di legalità.
Ma non si deve dimenticare che in una società “sana” i presìdi di legalità sono molti e diffusi.In Italia, invece, è rimasto un solo presidio di legalità: la magistratura. E questo è un male grande, perché è grandemente patologico che una società sia prevalentemente illegale e impegni nella difesa della legalità solo i giudici. Le leggi prevedono molti tipi di controllo di legalità e molti altri li esigono la cultura, la sociologia, la storia. Noi li abbiamo azzerati tutti. Ormai i certificati medici per assentarsi dal lavoro si chiedono per telefono e si ritirano in portineria; i bilanci societari sono falsi con il permesso esplicito della legge; le dichiarazioni dei redditi anche; i collaudi delle opere pubbliche sono "pro forma"; le approvazioni delle note spese scontate; gli straordinari al lavoro "autocertificati".
Poi abbiamo azzerato anche la giustizia, che non funziona più per niente e non funziona più non per caso, ma per una precisa scelta dei centri di potere – politico ed economico – del Paese, che hanno reso via via sempre più inefficiente la giustizia per non essere soggetti al suo controllo. Ogni volta che un potente è finito nelle maglie della giustizia, "la casta" ha fatto una legge che rendesse impossibile che una cosa simile accadesse di nuovo. Oggi tocca alle intercettazioni di dovere essere eliminare dal codice.
Ma se questa linea non viene fermata e non si ritorna indietro, avremo un Paese nel quale la classe dirigente è profondamente corrotta e la corruzione prospera e dilaga ovunque, e i soggetti più deboli, quelli che, non avendo potere, non possono difendere da se i propri diritti, non hanno nessun giudice dinanzi al quale ottenerne tutela, restando così emarginati, mentre le carceri si riempono di emarginati vecchi e nuovi.
Insomma, una situazione ben nota alla storia, che un tempo si sarebbe definita come “sudamericana”. In ogni caso lontanissima dal sogno falso di un Paese moderno usato dai potenti per comprare voti e ottenere consenso.
Oggi anche Laterza partecipa a questo triste teatrino.
Anonimo commentatore

2 commenti:

Anonimo ha detto...

LUCIFERO DOVE SEIIIIIIIIIIIIIIIII?????????????????????????????????

akerfeldt ha detto...

L’articolo in questione è anonimo, ma solo in parte. E’ autenticamente anonimo (mi si passi l’ossimoro) solo nelle marche contestuali riferite alla recente situazione laertina. Il resto, cioè la quasi totalità dello scritto, è costituito da un articolo, a firma di Felice Lima, giudice del tribunale di Messina, postato praticamente un anno fa sul blog dei magistrati “Uguale per tutti”. Espunti i riferimenti che avevano originato la riflessione del togato (il discorso di Mastella in parlamento a seguito delle indagini che vedevano coinvolto lui e la sua consorte), l’articolo, riproposto dal saggiamente anonimo commentatore, è senz’altro di estrema attualità. Che il malato non percepisca più la sua condizione, è evidente. Si è affermata pian piano in Italia la cultura del “Così fan tutti”, del “Tutti colpevoli, nessun innocente, quindi nessun colpevole”, del qualunquismo, intenso nella sua vulgata odierna di avversione profonda ma rassegnata verso la politica. I prodromi di questa malattia sono contenuti nel discorso craxiano alla camera dei deputati proferito nel mezzo del ciclone Tangentopoli: siamo tutti coinvolti, siamo tutti uguali, quindi o siamo tutti colpevoli, o meglio innocenti. Si va affermando nel pensiero comune la convinzione che nulla potrà cambiare nella pubblica amministrazione perché l’uomo è geneticamente portato a curare il proprio particulare a scapito del perseguimento del bene comune. Chi si rileva onesto può essere paradossalmente considerato fesso. Siamo al rovesciamento della morale. La questione morale non è discriminante. Perde ancor più di valore allorché il partito che ne ha cercato di fare una bandiera durante le ultime elezioni politiche, un tentativo tra l’altro fallito, è coinvolto in una serie di scandali recentemente balzati agli onori delle cronache. Un effetto collaterale di questa malattia, un grave sintomo patognomico dell’immaturità civile e democratica della nazione Italia, è la possibilità di dire tutto e il contrario di tutto senza che nessuno batta ciglio. Di qui l’ancor più grave ondata revisionista che sta dilagando ormai per ogni fatto storico: da chi si propone di far il tagliando ai libri di storia, a chi vuole conferire lo stato di combattente ai repubblichini (si veda recente proposta di legge), da chi inneggia al fascismo impunemente, ignaro che l’apologia di fascismo costituisce reato, a chi rivaluta la figura di Bettino Craxi offrendo panegirici televisivi (si veda il documentario andato in onda circa dieci giorni fa su Canale 5). Lo scorso venerdì, se non sbaglio, a parlare di politica e moralità a Taranto c’erano l’onorevole Fabrizio Cicchitto, già piduista, e l’onorevole Pietro Franzoso. Per il rovesciamento della morale in atto, una parrocchia pugliese ha organizzato un dibattito sulla castità: interverranno Eva Henger e Selen.