lunedì 10 novembre 2008

Un comune cerniera

LATERZA - Regole e sanzioni certe. La formula per far convivere sviluppo economico e ambiente, a volerla trovare, esiste e non ha nulla di trascendentale. Lo si è compreso nitidamente nel primo dei tre incontri-dibattito organizzato dal Pd laertino (negli altri si parlerà di Scuola e Sanità), che ha messo insieme un esperto di storia industriale come il professor Federico Pirro - docente all'Università di Bari - e due parlamentari ferrati in economia, Francesco Boccia, e occupazione, Ludovico Vico.
Materie sensibili, soprattutto in tempi di crisi. Tornando alla traccia principale, bastano le parole di Giuseppe Russi per mettere a fuoco il tema: «Sviluppo economico e tutela ambientale devono andare a braccetto per aiutare un territorio che ha sì una vocazione agricola e zootecnica, ma anche un consorzio panificatori e un polo artigianale basato su aziende come Curvet e Natuzzi, che hanno qualche problema, e nuovi arrivi nel campo delicato del compostaggio dei rifiuti».
Il professor Pirro scioglie subito il "nodo", o meglio il dubbio, della possibile convivenza: «Sviluppo e ambiente possono e devono convivere». Con un'avvertenza: «Possono farlo nella misura in cui le nuove tecnologie consentano sia la tutela dell'ambiente sia lo sviluppo industriale». E qui Laterza, secondo il professor Pirro, può giocare un suo ruolo preciso: «Perché il territorio laertino è un'area di raccordo, una cerniera, fra il polo jonico, il Materano e la Murgia Barese, dove riaffiorano o sono in corso percorsi di sviluppo». Tenendo conto, poi, di un suggerimento: «Avere risorse pregiate, come il latte laertino che finisce alla Granarolo, non basta se non si ha la forza di commercializzarle e di aggregare l'offerta». Una strada, questa, che dovrebbe seguire il consorzio panificatori, magari affiancato da soggetti pubblici (Comune, camera di commercio), perché «oltre alla promozione, serve la commercializzazione». Stesso discorso per il Parco delle Gravine e il suo «turismo di nicchia».
Ma il punto centrale resta comunque il rapporto delle istituzioni con le industrie: «Con Natuzzi e Curvet - spiega Pirro - bisogna dialogare e devono farlo anche Comune e Provincia, proprio per spingere verso una valorizzazione dinamica e ambiziosa delle risorse locali». Cioè, allargando il discorso, non esistono soltanto i grandi interlocutori come Ilva, Eni, Cementir e Alenia: «Un'industria come l'Ilva può convivere con la difesa dell'ambiente, a condizione che rispetti le regole e applichi le tecnologie esistenti capaci di abbattere l'impatto con l'ambiente». Una prateria, stando alle cronache quotidiana, ancora tutta da percorrere.
Come lo sono, è lo spunto lanciato dal coordinatore del Pd Davide Bellini, i «miliardi di euro stanziati per i Por Puglia». Pane per i denti dell'on. Boccia, che può segnalare un distinguo non solo lessicale: «Non esiste il Mezzogiorno, ma i Mezzogiorni, perché la Puglia è un'altra cosa rispetto a Sicilia, Calabria e Campania: non ne ha i problemi, la criminalità. E soprattutto non ha avuto una gestione della cosa pubblica pesantemente condizionata dal peso che i flussi finanziari hanno avuto sull'economia locale. Che è poi il motivo della distanze tra Sud e Nord, dove le imprese non si attaccano alla mammella dei soldi pubblici».
Insomma, la Puglia ha un altro problema, questo tutto suo: «La qualità della gestione della cosa pubblica - nota Boccia - che spetta alla politica e che, perciò, non ha alibi». Di qui, dunque, può e deve nascere un rapporto virtuoso con le imprese: «Che hanno bisogno - dice il parlamentare del Pd - di avere certezze dalle pubbliche amministrazioni, innanzitutto sui tempi per ottenere permessi e quindi poter valutare la congruità dell'investimento e l'impatto sulle condizioni ambientali. E le valutazioni, per dirla tutta, non ha senso che siano due, a livello nazionale e regionale: andrebbero unificate». Il tutto inscritto in una formula aurea: «Regole da rispettare tempi certi e, ovviamente, sanzioni adeguate. Non è possibile fare gli esami del sangue alle imprese quando devono aprire e poi, dal giorno dopo, ci dimentichiamo di quello che succede».
Il quadro generale, comunque, non è esaltante: «La situazione economica generale - nota Boccia - è complessa e per certi versi grave. Basta vedere i ragazzi di Miroglio e sapere che l'effetto domino sull'economia reale non è finito: ogni settimana ci sono richieste di cassa integrazione». Nè, fa capire Boccia, il governo dimostra una particolare sensibilità su questo versante: «Abbiamo chiesto di mettere tutte le risorse disponibili, se ci sono, sulle detrazioni a favore del costo del lavoro precario, sulla detassazione delle tredicesime e, in generale, sull'abbassamento delle imposte sul lavoro. La strada giusta, almeno nel breve periodo, è quella di far alzare i redditi medi per far ripartire i consumi, ma il governo non è d'accordo e, anzi, sta lavorando ad allargare il fossato sociale». Il vuoto, per Boccia, è nello Stato: «Perchè siamo ripiegati su noi stessi e quando lo Stato non c'è, non dà protezione». L'esempio è quello del credito d'imposta sugli investimenti al Sud: «Lo abbiamo istituito per due volte e Tremonti lo ha sempre cancellato. Volevamo rendere automatico questo beneficio fiscale per chi investe e invece 'ha vinto la Lega', come ha titolato la Padania, e ha perso il Mezzogiorno, che ci ha rimesso miliardi di euro di soldi suoi». Il contrario, cioè, di quello che servirebbe: «Politiche condivise - scandisce Boccia - in un momento in cui le divisioni territoriali stanno avendo la meglio. Il nostro dovere politico è fare sintesi su strumenti d'intervento che consentano alle nostre aziende di migliorare la propria capacità di riconversione. A Matino, per dirne una, che non è a New York ma a Lecce, c'è un'azienda che produce jeans ed è leader in Europa, oltre ad essere il primo esportatore negli Usa: si può fare, non è fantascienza. L'importante, però, è non lasciare soli gli imprenditori».
Dal pubblico, però, qualcuno prova a vederci rosa, chiedendo lumi "sulle vie dello sviluppo da attivare per far sognare le nuove generazioni". Compito arduo per l'on. Vico, ex sindacalista abituato a guardare in faccia la realtà. Che, spesso, è tutt'altro che bella: «L'attuale situazione economica e politica - nota - non ci permette di pensare al futuro, per creare nuovi posti di lavoro, ma di difendere i posti di lavoro attuali. E' in atto una recessione economica: si abbassano i consumi, circolano meno merci e denari e il Pil decresce. Siamo nel bel mezzo di una bufera e al Governo abbiamo chiesto di rivedere la Finanziaria perchè servono 8 miliardi di euro per aumentare i salari e le pensioni, rafforzare i fondi per la cassa integrazione, mobilità e disoccupazione (ammortizzatori sociali) per arginare le tante crisi che si sono aperte e che si apriranno». Crisi che ci riguardano molto da vicino: «Nella sola provincia di Taranto la cassa integrazione (al netto dell'Ilva) è aumentata del 22% colpendo i settori del manifatturiero, fornitori e subfornitori. Attualmente non ci sono i soldi per coprire difficoltà e il credito chiude le porte alle piccole e medie imprese che non offrono le necessarie garanzie ed è per questo che c'è bisogno di interventi statali».
Tutto grigio? Magari. Vico vede ancora più nero: «Il Governo Berlusconi - sottolinea - di fronte a queste emergenze risponde stornando i fondi dal mezzogiorno (fondi Fas) a favore del Nord, alimentando la conflittualità territoriale e marginalizzando lo sviluppo del Sud. I finanziamenti per le infrastrutture si fermano al Nord (strade e ferrovie) e la politica divide il paese senza occuparsi di rilanciare una grande alleanza tra "Lavoro" e "Impresa". Ed è per questo che si auspica la ripresa dell'unità sindacale tra Cgil, Cisl e Uil)». Ricetta antica, ma non troppo, quella di Vico: «Lo sviluppo può e deve ripartire attraverso la ripresa del dialogo sociale».

Massimo D'Onofrio
Corriere del Giorno -10 novembre 2008

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