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Il tema, si sa, era stato introdotto non molto tempo fa, quando esplose il boom cosiddetto dell’antipolitica che, proprio sul terreno dell’anatema al “Parlamento dei pregiudicati”, faceva irruzione nel panorama mediatico con la “carica” di Beppe Grillo.
L’argomento sembra essere proprio una sorta di nervo scoperto che attraversa l’intero Palazzo, in modo trasversale e senza sconti per nessuno. Gli appelli a liberarsi dei candidati impresentabili si sono succeduti: in Commissione antimafia si è fatto ricorso ad un non meglio specificato “codice deontologico” (che non è riuscito a decollare), persino il Procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, si è fatto promotore di un invito a soppesare le candidature dal punto di vista dell’etica e del codice penale. Oggi è il giornale dei Vescovi a lanciare la sfida, indirizzata prevalentemente ai centristi: «Solo candidati puliti”, è il senso di un editoriale di Avvenire di domenica, giorno di massima diffusione nelle parrocchie.
E il Pd, nel presentare i dodici punti del programma, sotto il capitolo “giustizia e legalità” ostentava - per bocca di Veltroni - il «principio della non candidabilità al Parlamento dei cittadini condannati per reati gravissimi come quelli contro la pubblica amministrazione o connessi alla mafia e alla camorra». Riuscirà a sfondare, il monito dei Vescovi, nei due principali destinatari del centrodestra?
A parte l’impegno scritto del Pd, non sembra che la politica risulti particolarmente entusiasta di gestire la “patata bollente”
Tanto da aver registrato, per esempio in casa Udc (insieme con Forza Italia terminale del messaggio di Avvenire), un senso di sollievo per la trasmigrazione nel Pdl dell’eurodeputato Vito Bonsignore, titolare di qualche problema giudiziario: «Meno male - è il commento raccolto - che è andato. Un problema in meno».
Già, perchè l’altro problema non secondario dell’Udc si chiama Totò Cuffaro, governatore della Sicilia, dimissionario in seguito ad una condanna a cinque anni per aver favorito alcuni esponenti di Cosa nostra. Su Cuffaro, però, è intervenuto personalmente Pierferdinando Casini, che gli ha già assicurato la candidatura al Senato assumendosi la “responsabilità piena della scelta”.
«Per Cuffaro garantisco io», ha detto il leader dell’Udc. E c’è anche il problema del segretario Lorenzo Cesa, indagato a Catanzaro per associazione e truffa all’Unione Europea.
Ma, continuando in modo trasversale, i tentacoli del codice penale vanno verso Forza Italia lambendo il sen. Luigi Grillo (aggiotaggio nella vicenda Rcs e Bnl), l’ex governatore della Puglia Raffaele Fitto (corruzione e finanziamento illecito), fino a personaggi di spicco come il sen. Marcello Dell’Utri. Posizione critica, la sua, essendo stato condannato in via definitiva a due anni per frode fiscale e false fatture, e a nove anni in primo grado per mafia (processo in via di appello).
Altri condannati in via definitiva sono i forzisti Massimo Berruti ed Alfredo Vito (patteggiati due anni per corruzione).
Saranno candidati i “definitivi”? Da Forza Italia ancora nessuna decisione definitiva. «Stiamo definendo il quadro politico», dice Claudio Scajola. «Siamo, quindi, ad un primo screening che, tuttavia, ci porta a considerare l’eventualità di massima di una ricandidatura degli eletti uscenti».
Ma esiste già un criterio, una regola da seguire? «Non un criterio assoluto anche perchè non abbiamo al nostro interno grandi problemi, ma il dovere di valutare caso per caso». E i condannati in Cassazione? A questa domanda Scajola non offre risposte, ma valutazioni personali: «E’ da tenere presente l’invito del vescovi e condivido le perplessità di quanti ritengono controproducente esporre candidature che potrebbero indebolire l’immagine della coalizione».
Più netta la presa di distanza di Michele Vietti (Udc) dalla “suggestione” di «affidare alla magistratura la selezione della propria classe dirigente». Cioè? «Non ci si può fermare all’automatismo della condanna, passata in giudicato o meno. Deve essere il partito ad applicare un proprio codice deontologico, anche sulla base di valutazioni diverse da quelle delle presunte “colpe” giudiziarie. Spesso si può far peggio candidando qualcuno senza “nei” ma privo del patrimonio necessario per fare politica».
E a sinistra? La trasversalità, lo abbiamo detto, arriva ovunque. Anche Enzo Carra annovera una condanna definitiva. «Ma per un reato (false comunicazioni al pm ndr) - precisa il giornalista - che non è contemplato nel codice scritto dal Pd. Se si fosse deciso per la mia non candidabilità credo avrei accettato democraticamente, com’è nella mia storia». Qualche problema esiste anche nel “governatorato” della Calabria di Agazio Loiero, impelagato in storie di appalti e sanità. Per non parlare delle presenze in Parlamento degli ex rivoluzionari (Sergio D’Elia) e dei “disobbedienti” Caruso e Casarini, proposti per una condanna a 6 anni a Genova. Ma queste eventuali ricandidature non sono più problemi del Pd.
Francesco La Licata - La Stampa
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