L’approvazione della bozza, licenziata ieri dalla Commissione Statuto del PD è solo il primo passo. E l’astensione di ben 11 dei poco meno di 60 presenti, non può che far riflettere sulla necessità di non fermarsi nel processo di innovazione avviato. La bozza è un risultato di tutto rispetto, soprattutto se si considera l’accelerazione progressiva che è chiesta a questa nuova creatura politica, questo PD al quale chiediamo di correre prima ancora che impari a camminare. Ma può e deve ancora migliorare.
Lo Statuto disegna un partito vero, ancorato territorialmente ma che non si chiude alle nuove possibilità partecipative aperte dalla rete; un partito che coraggiosamente afferma le responsabilità di chi intende governare il Paese con l’affermazione del legame necessario tra leadership e premiership; un partito che mette in campo azioni positive per il ricambio della classe politica, affermando la parità di genere come principio, il limite del numero dei mandati e della cumulabilità delle cariche, il finanziamento ad ambiti di formazione politica plurimi.
Si ha però la sensazione di trovarsi di fronte a un processo che non ha avuto il coraggio di spingersi un po’ oltre. Nel merito e nel metodo. Nel merito:scotta non aver sancito, senza se e senza ma, il principio delle primarie. Spieghiamoci: le primarie sono definite come il sistema ordinario al quale fare riferimento ogniqualvolta si debbano decidere le candidature ai ruoli di partito o istituzionali rilevanti. Questo principio, però, incorpora una eccezione non da poco: i parlamentari. Non spaventa l’idea che possano esserci circostanze il cui l’applicazione del principio contrasta con le esigenze dettate dalla situazione effettiva e contingente. Oggi non sarebbe stato possibile, nell’arco brevissimo di tempo che sembra separarci dalla tornata elettorale, investire tempo e risorse per una seria campagna primaria. Cionondimeno la previsione che, per questa particolare categoria di rappresentanti istituzionali sia già pronta una via di fuga dal principio generale fa male. Il recupero di credibilità della classe politica nei confronti dei cittadini passa anche per gesti simbolici, e uno Statuto senza cedimenti su questo fronte avrebbe sancito appieno quel fruttuoso dialogo avviato il 14 ottobre. Un gesto simbolico sarebbe stato approvare l’emendamento che precludeva la candidatura ai funzionari dei partiti, e, soprattutto, un gesto simbolico di grande rilevanza sarebbe stato approvare lo Statuto all’unanimità. Cosa è mancato dunque? E’ mancato un po’ di dialogo in piu’ tra coloro che proponevano idee differenti; è mancata un po’ più di fiducia nelle persone, che sanno dialogare, piuttosto che nelle “parrocchie”, organizzate per difendere la propria tesi; è mancata un po’ di determinazione nel volere questa Commissione come punto di incontro e non di scontro tra visioni diverse. E’rimasta, da parte di tutti, un po’ troppa propensione a vedersi come veltroniani, dalemiani, popolari, lettiani e bindiani piuttosto che, semplicemente, da oggi e in poi, come democratici.
Attendiamo al più presto la convocazione all’assemblea plenaria e speriamo che tornino a essere protagonisti la voglia di ricominciare e la tensione al nuovo. Anche nei metodi.
Gilda Binetti – Commissione Nazionale Statuto Partito Democratico
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