mercoledì 27 febbraio 2008

Domande e dubbi sul programma di Veltroni

Sarà opportuno, più in là, cercare il pelo nell’uovo. Per ora è più utile constatare che il programma del Pd presentato lunedì è centrato con chiarezza sugli interventi strutturali dei quali l’Italia ha bisogno; e riflettere sulle difficoltà di realizzarlo.

Difficoltà economiche
Il programma cerca di rassicurare sul fronte della finanza pubblica. L’elenco delle «azioni di governo» comincia con la riduzione della spesa, insiste sulla lotta all’evasione, vuol ridurre il debito utilizzando il patrimonio delle pubbliche amministrazioni. Ci sono però tante promesse di riduzioni di imposta, variegati incentivi, numerose spese e misure preziose ma costose, come quelle per rendere sostenibile la flessibilità dell’occupazione.

Nel migliore dei casi è un programma finanziariamente coraggioso, dove il Quintino Sella di turno dovrà usare rigore e farsi perdonare il cipiglio dimostrando che il governo, oltre a controllare la quantità della finanza, ne migliora la qualità. La congiuntura internazionale non aiuterà Quintino.

Le previsioni continuano a peggiorare: oltre alla riduzione del gettito fiscale derivante dal rallentamento ciclico, c’è il pericolo di dover finanziare salvataggi eccezionali. Confortiamoci pensando che l’Italia va molto peggio della media europea e dunque, se un nuovo governo la sblocca, può crescere un filo di più anche se l’Europa rallenta. La quantificazione e la copertura degli oneri del programma vanno comunque chiarite al più presto.

Ci sono poi difficoltà politiche.
Il programma pesta i piedi a gruppi di interesse agguerriti. Il che gli fa onore. Se l’elettorato riterrà che sia fattibile, potrebbero arrivare i voti per provare a governare. Per essere eletti i voti si contano. Ma quando poi si governa, i nemici si pesano. Bastano pochi prepotenti per creare gravi ostacoli.

Qualche esempio. Decentrare la contrattazione dei salari, differenziare i trattamenti territoriali, premiare la produttività, adoperare i contratti di lavoro per superare la dicotomia fra precari e inamovibili, evitare gli incidenti di lavoro con presidi locali accurati invece che con parole altisonanti: tutto ciò significa modificare il ruolo dei sindacati, sia dei lavoratori che dei datori di lavoro, riducendo l’influenza dei protagonisti dei grandi tavoli romani, carichi di suggestione e visibilità politica.
Protagonisti che verranno ridimensionati anche se le politiche del lavoro saranno decise cercando il consenso più direttamente nel Parlamento e nel Paese e meno nelle estenuanti trattative corporative. Una bella frase del programma dice che per aumentare la produttività del sistema le parti sociali devono «cambiare comportamenti e riformare le regole della loro rappresentanza». Andrà detto ancor più chiaro?

Riformare il mercato finanziario significa urtare gli interessi di chi oggi vi opera con meno capacità, correttezza, trasparenza, ma con più protezioni e influenze lobbistiche.

La riforma dell’Università, così come delineata nel programma, è una magnifica rivoluzione: ma significa grandi difficoltà e opposizioni degli atenei e dei professori meno capaci, per non parlare degli studenti cui sono indigeste, per esempio, le «rette fissate liberamente», anche se ben compensate da borse di studio.

La liberalizzazione dei servizi pubblici locali significa togliere potere e denaro a enti e gruppi che li gestiscono in modo opaco e inefficiente. Fare riforme che coinvolgono tassisti, camionisti o agricoltori significa predisporsi a resistere alle loro proteste violente e illegali. Che cosa ci assicura che un governo Pd avrà la forza di procedere?

La realizzabilità del suo programma dipende anche da quella delle riforme elettorali e istituzionali che contiene: esse aumentano la forza con cui un governo può vincere la battaglia con i gruppi di interesse. Richiedono però un accordo con Berlusconi il cui programma, quando sarà dettagliato, è comunque cruciale per il destino di quello del Pd.

Se pesterà i piedi anche lui (e non solo ai politici concorrenti), non potrà esser molto diverso: le cose da fare, a dirle chiare, son quelle che sono. Converrà allora che i due contendenti ne ribadiscano alcune insieme, prima delle elezioni, rendendo così più credibile l’impegno a farle davvero. Magari, se occorresse, governando per un tratto assieme.

Se invece il programma del Pdl sarà altisonante, ma opaco e tranquillizzante, Veltroni avrà due reazioni possibili. Nascondere ancor più che il suo, invece, morde: sarebbe una disastrosa gara al ribasso, magari mascherata dietro i falsi muscoli di un ritorno alle reciproche insolenze. O criticare con didascalica precisione il buonismo dell’avversario, promettendo cooperazione per affrontare con coraggio i tanti, forti scontenti che nascono dalla realizzazione di qualunque buon programma.
Franco Bruni - Corriere della Sera

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