lunedì 11 febbraio 2008

Pd e comunicazione politica

Bisogna riconoscere alla «Gazzetta del Mezzogiorno» il merito di ospitare dibattiti su temi di rilievo che altrimenti sarebbero ristretti a pochi addetti ai lavori. Certamente, uno di questi temi è la comunicazione politica o, come sarebbe meglio dire, la comunicazione tra la politica e i cittadini e tra i cittadini e la politica.

L’argomento non è solo di grande attualità, ma è una di quelle questioni che hanno una importanza fondamentale per le sorti stesse della democrazia del nostro Paese, tale da meritare l’attenzione di tutti e da richiedere delle risposte all’altezza. Lo dico perché mi sembra molto riduttivo ragionare di comunicazione politica soltanto dal punto di vista di come i partiti e le istituzioni riescono a rendere più chiari e comprensibili i loro messaggi ai cittadini-elettori. Questo modo di vedere la questione è parziale e sfugge ad un nodo essenziale: la drammatica crisi esistente nel rapporto tra la politica e i cittadini. I «Vaffà day» di Beppe Grillo o il successo di libri come «La casta» sono le spie di un malessere molto profondo che va affrontato non soltanto in termini di miglioramento del linguaggio e della capacità di usare i mezzi di comunicazione di massa, ma, anche e soprattutto, in termini di come la politica ritorna a essere in sintonia con le attese dei cittadini e riesce a dare risposte ai loro problemi. Se è questo il livello a cui bisogna porsi, allora non basta affidarsi a dei buoni consulenti, capaci di curare l’immagine del candidato o del partito e in grado di applicare le moderne tecniche di marketing politico. Sia chiaro: non voglio dire che non ci sia bisogno di competenze specialistiche e di serie professionalità se si vuole competere con successo in campagne elettorali sempre più complesse. Ma limitarsi a questo sarebbe fuorviante rispetto al nodo di fondo che è - come direbbe Philip Gould, uno dei più noti consulenti di comunicazione politica - «far ritornare il pubblico sugli spalti», ovvero far tornare i cittadini a partecipare alla vita politica.

I partiti e gli eletti nelle istituzioni dovrebbero essere meno «autoreferenziali» e riprendere a dialogare con gli elettori. Questo non significa solo capacità di raggiungerli con i propri messaggi, ma, soprattutto, vuol dire essere capaci di ascoltarli e favorirne la partecipazione. Di questo si sente una grande necessità, visto che in Italia la credibilità della politica è precipitata ad un livello

bassissimo. Le ragioni di questa situazione sono complesse, ma credo che ce ne sia una fondamentale: nel nostro Paese è entrato in crisi l’intero sistema politico, come conferma lo scioglimento anticipato

del Parlamento. Quello che si è definitivamente inceppato è il meccanismo che, per vincere le elezioni, costringe a mettere insieme coalizioni estremamente eterogenee e frammentate in tanti partiti, coalizioni che poi - una volta vinte le elezioni - incontrano serie difficoltà a governare. I cittadini, giustamente, chiedono un sistema politico più semplice, con pochi partiti, in cui i programmi siano chiari e comprensibili e dove sia garantita la stabilità dei governi. Per ottenere questo risultato serve una riforma del funzionamento delle istituzioni e del metodo di elezione dei rappresentanti del popolo, che consenta ai cittadini di scegliere chi deve rappresentarli e, successivamente, di giudicarli sulla base del loro operato. Manco a dirlo l’esatto contrario della legge elettorale con la quale saremo costretti a tornare a votare. A maggior ragione in una situazione come questa, saper comunicare in maniera efficace non è assolutamente sufficiente. C’è bisogno di una forte innovazione politica se si vuole ristabilire il dialogo con gli elettori. Da questo punto di vista sono convinto che il Partito Democratico stia dando un esempio positivo mettendo al primo posto le cose da fare e in secondo piano le possibili alleanze.

Pino Mellone

Esponente del Pd Taranto

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