giovedì 31 luglio 2008

L'informazione e la politica locale

Riportiamo un commento analitico e appropriato di Akerfeldt che ancora una volta è riuscito a mettere ordine ad un confronto sterile e forse anche tendenzioso sui giornali locali e il rapporto con la politica.

A margine di questa discussione un po’ confusa ma stimolante, vorrei fare alcune considerazioni. La prima: capita a volte ai giornalisti di sbagliare. In sede di redazione, revisione o stampa dell’articolo possono avvenire errori del tutto fortuiti dovuti a distrazione o fretta. Ad esempio si può scrivere Catalano invece di Catapano o 70 feriti invece di 71. Sono errori di poco conto. Si può anche scrivere 30000 € invece di 3000, aggiungendo uno zero. La cosa però cambierebbe non poco. Sarebbe quindi meglio rettificare. Nel caso dell’errore commesso dal Corriere del Giorno tra tremila (3000) e trecentomilioni (300000000) di euro la differenza è abissale. Le cifre sono molto diverse. Il refuso non è spiegabile con un semplice errore di battitura. E’ un errore marchiano derivato forse da una mancata verifica della fonte. Ero presente al consiglio comunale dell’8 luglio e non mi sembra aver visto al momento della presentazione del rendiconto finanziario nessun cronista del Corriere. Qualcuno potrebbe essere giunto dopo, aver chiesto informazioni e, o perché vittima di malinteso o perché informato male, aver appreso e riportato la cifra spropositata. Questa, tuttavia, si poteva correggere per tempo, essendo la cronaca del consiglio uscita sul quotidiano tarantino il 14 o 15 luglio. Non so inoltre se sia avvenuta la rettifica, ma dato il caso, questa era altamente consigliabile.
La seconda: purtroppo la stampa locale è particolarmente dipendente dai centri politici (consigli, giunte, sezioni di partito) per tanta parte della materia prima. Può capitare che scorrettamente i fornitori di notizie diffondano dati falsi o imprecisi a inconsapevoli e ingenui cronisti. La regola per un buon giornalista dovrebbe essere quella di fare più domande possibili per smascherare eventuali giochi sporchi dei potenti e verificare i dati ricevuti. Nel caso dell’articolo (tra l’altro non si sa chi l’abbia scritto) del Corriere del Giorno vi è stata negligenza nel non accorgersi di quanto quel dato non potesse essere reale, sia stato esso frutto di un malinteso o di una cattiva informazione data (peraltro paragonabile solo a quella che potrebbe fornire il peggior galoppino di centrodestra). Non bisogna però criminalizzare il Corriere che, ultimamente, non è di certo stato tenero con l’amministrazione laertina. Quindi l’errore, anche se madornale, è, secondo me, stato commesso in buona fede. Non me la sentirei assolutamente di parlare del Corriere, o della stampa locale in genere, come un mero punto vendita delle bufale politiche.
Per ciò che concerne il discorso su Agorà, questo non mi è molto chiaro. Da quanto si evince dai commenti riportati, Agorà sarebbe il simbolo di un giornalismo che s’offre solo come cassa di risonanza (per quel che può risuonare) delle notizie di genesi politica, non preoccupandosi affatto di constatarne la veridicità e assumendo un atteggiamento alquanto prono verso i potenti. Ora, non che Agorà sia un campione del giornalismo d’inchiesta (cosa che in Italia riesce solo e in parte alle migliori testate nazionali), ma da qui a dire che sia un giornale che non abbia motivo d’esistere, perché semplice raccoglitore di comunicati e dichiarazioni politiche o perchè non interesserebbe a nessuno, ne passa. Cerca di fare cronaca locale attingendo per quanto possibile notizie di prima mano e conferendo loro un taglio valutativo, condivisibile o meno che esso sia.
Infine che il giornalismo italiano non goda di buona salute dal punto di vista commerciale e dal punto di vista qualitativo è indubitabile. Su quest’ultimo punto distinguo e opinabilità trascinerebbero in un discorso troppo ampio. Per quanto riguarda il primo punto cerco di sintetizzare alcuni elementi esplicativi. Le anemiche vendite dei quotidiani sono dovute tra l'altro a uno sviluppo della sfera pubblica italiana, nell’ottocento e nella prima metà del novecento, spiccatamente elitario. La costituzione de facto della nazione italiana, attraverso l’adozione di una lingua comune che sconfiggesse l’uso dei dialetti e la nascita di un vero sentimento nazional-popolare, si ha compiutamente solo con il dopoguerra e l’avvento della televisione negli anni cinquanta. I giornali avevano una diffusione limitata, non di massa, scontando la scarsa alfabetizzazione della popolazione italiana e l’asfissia del mercato pubblicitario, e riferendosi perciò alle intelligenthie italiane, da quelle fautrici dell’unità politico amministrativa dello Stivale fino, quanto meno, a quelle dell’immediato secondo dopoguerra. Ciò ha portato a rapporti sempre più stretti tra lobby di potere politico-economico e quotidiani e spiega anche l’endemica dipendenza da finanziamenti statali del mercato editoriale italiano. La situazione (anche se il numero dei lettori è ovviamente aumentato) si è sostanzialmente evoluta poco, dovendo ormai la stampa rincorrere una cultura di massa dall’impriting marcatamente televisivo difficile da sradicare. Essendosi affermata la televisione come principale consumo culturale di massa, i quotidiani e i periodici hanno tuttora un seguito relativamente basso.
Akerfeldt

1 commento:

Anonimo ha detto...

intanto è iniziato alle 16.00 il processo contro Karadzic per crimini di guerra.
Lo stanno mandando sulla BBC, sulla CNN, sulle reti francesi, inglesi...ovunque.

Qui da noi la Tv pubblica manda don matteo e tonio cartonio...

Che bello.