giovedì 31 gennaio 2008

Giustizia è fatta..

Dopo solo cinque minuti di camera di consiglio, Silvio Berlusconi è stato prosciolto dall'accusa di falso in bilancio, così come richiesto dal P.M. Ilda Boccassini.
Motivo del proscioglimento, il fatto non costituisce più reato a seguito della sua derubricazione.
A chi si deve tale provvedimento? Al governo Berlusconi che non appena insediato nel corso della scorsa legislatura aveva previsto la depenalizzazione del reato di falso in bilancio.
Che coincidenza..

mercoledì 30 gennaio 2008

Napolitano si affida a Marini, "Incarico per la legge elettorale"

ROMA - Incarico a Franco Marini. Come previsto. Ma Napolitano, ai giornalisti raccolti al Quirinale, ha voluto fornire, come aveva promesso, le "motivazioni" della sua decisione. In sintesi: 1) prima della crisi c'era un dialogo sulla riforma elettorale, non si vede perché non possa dare frutti;
2) sciogliere le Camere è decisione "gravosa", l'ultima che il presidente vorrebbe prendere;
3) sentiti i partiti emerge che quasi tutti vorrebbero una riforma del sistema elettorale, ma alcuni ritengono impossibile farla adesso;
4) il capo dello Stato ha quantomeno il dovere di provarci, Marini è la persona adatta;
5) Se qualcuno avesse dei dubbi, in questa scelta non c'è nulla di dilatorio.
Incarico per la legge elettorale. Questo, insomma, ha deciso il capo dello Stato. Per la precisione si tratta di un incarico a "verificare le possibilità di consenso su un preciso progetto di riforma della legge elettorale e di sostegno ad un governo funzionale all'approvazione di quel progetto e all'assunzione delle decisioni più urgenti in alcuni campi".

martedì 29 gennaio 2008

VELTRONI AL QUIRINALE: ELEZIONI OGGI SIGNIFICANO INSTABILITA' DOMANI

«Trovare una soluzione positiva per dare stabilità al Paese. Le elezioni anticipate sono un’alternativa che non corrisponde ai bisogni del Paese». Sono queste le prime, significative, parole pronunciate dal segretario del Pd Walter Veltroni al termine dell’incontro avuto al Quirinale tra il capo dello Stato Giorgio Napolitano e la delegazione del Partito democratico, rappresentata dallo stesso Veltroni, dai capigruppo di Senato e Camera Anna Finocchiaro ed Antonello Soro e dal vicesegretario Dario Franceschini.
«Abbiamo presentato – ha riferito Veltroni – due ipotesi: fissare la data delle elezioni per la primavera dell'anno prossimo e poi svolgere ciò che gli italiani si attendono, ossia portare a termine il pacchetto di riforme istituzionali e di revisione dei regolamenti parlamentari, oltre che il varo di una legge elettorale che di stabilità al Paese», oppure «fissare la data delle elezioni entro qualche mese, nel primo semestre di quest'anno, e affrontare alcune questioni come la legge elettorale, legge che si può cambiare in breve tempo. Queste – ha spiegato – sono le nostre proposte: due governi con scadenza e poi le elezioni».

Il leader del Pd ha quindi confermato tutta la contrarietà del partito nei confronti di un immediato ritorno alle urne. «Elezioni oggi – ha sottolineato Veltroni – significano instabilità domani. Si andrebbe a votare con una legge elettorale per l'abrogazione della quale alcune forze politiche, che ora chiedono il voto, hanno promosso un referendum. Tra un anno ci troveremmo di nuovo di fronte a questo referendum».

La riflessione del sindaco di Roma investe tutti gli aspetti che rendono estremamente critico l’assetto politico-istituzionale del Paese, sul quale occorre mettere mano in brevissimo tempo se non si vuole rischiare ulteriori derive antidemocratiche. «Il momento - ha detto Veltroni - richiede uno scatto di responsabilità nazionale da parte di tutti. Occorrono assicurazioni di stabilità per garantire innovazione».

Collaborare per riformare le regole, la legge elettorale, le regole istituzionali, non significa annullare le differenze politiche, perché la dialettica resterebbe intatta sulle scelte e sui programmi. «Perciò abbiamo avanzato al Presidente della Repubblica la proposta di fissare la data delle elezioni per la primavera dell'anno prossimo e nel frattempo lavorare in Parlamento per realizzare le riforme istituzionali già incardinate, che prevedono la riduzione del numero dei parlamentari, una sola camera con potere legislativo, regolamenti più adeguati, e naturalmente una riforma elettorale che dia stabilità. Questo significa usare questi mesi per essere sicuri che dopo il voto nascerà un governo».

L’alternativa minima, come detto, riguarda un governo che, in pochi mesi, si limiti alle necessità più impellenti per il Paese e che provveda alla riforma della sola legge elettorale. Su questo punto, inoltre, lo stesso Walter Veltroni ha ricordato come tra le forze politiche dei due schieramenti si fosse giunti ormai «ad un passo dall’accordo. Io credo – ha aggiunto – che possiamo partire dalla prima bozza Bianco e da lì cercare una possibile convergenza per dare al paese stabilità e ai governi governabilità».

Questo governo di pochi mesi, d'altronde, che potrebbe consentire elezioni entro l'estate, non dovrebbe affrontare solo la legge elettorale ma anche «altre questioni urgenti», quella dei salari e dei redditi delle famiglie, una questione per la quale «oggi ci sono risorse grazie all'azione di risanamento del governo Prodi»; misure di sostegno alle imprese; una riduzione dei costi della politica. «Avanzare queste proposte non è – ha concluso Veltroni - un modo per dilazionare le scelte. E' un modo per evitare che le elezioni servano a far proseguire il vecchio».

lunedì 28 gennaio 2008

E' IL TEMPO DELLA CHIAREZZA, DELLA RESPONSABILITA', DELLA SERENITA'

Un appello al senso di responsabilità nazionale di tutti per dare vita ad un governo capace di affrontare le riforme istituzionali o quanto meno di portare a termine il varo di una nuova legge elettorale che dia stabilità e governabilità al Paese. Walter Veltroni, intervenendo oggi all’incontro dei Liberal del Pd, ribadisce la linea con la quale il Partito democratico ha deciso di affrontare la crisi seguita alla caduta del governo Prodi. Linea peraltro già esplicitata in modo unitario dopo la prima riunione dell’unità di crisi – un vertice composto dalle maggiori personalità politiche del partito – con la quale il Pd sta affrontando la delicata situazione istituzionale.

Prendendo parola oggi a Roma, il leader democratico sottolinea come “precipitare verso le elezioni” sia “in contraddizione con il senso di responsabilità” che, in un momento così travagliato e delicato per democrazia, tutte le forze politiche dovrebbero anteporre agli interessi particolari. Un messaggio chiaro a quelle “forze sane”, politiche e non, “del Paese reale” che hanno espresso le loro preoccupazioni per un ritorno al voto in queste condizioni, considerate strutturalmente inadeguate. Un messaggio altrettanto diretto a chi, invece, in questo momento, sembra disinteressarsi di ciò che è necessario per il nostro Paese.

E’ con questo spirito che il segretario del Pd rivela di aver molto apprezzato le parole del presidente di Confindustria Luca di Montezemolo che proprio ieri ribadiva tutto il suo scetticismo per un'immediata indizione di elezioni anticipate. Ugualmente, il sindaco di Roma esprime il suo giudizio positivo per quanto detto dal leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini e per la posizione assunta da alcune forze politiche consultate in questi giorni dal presidente Napolitano. "E’ positivo che abbiano sostenuto di essere contrarie alle elezioni anticipate e a favore di un governo che riscriva le regole del gioco. Allo stesso modo – aggiunge – giudico di grande importanza quello che ha detto Casini parlando della necessità di un esecutivo di responsabilità nazionale”.

E’ proprio con lo stesso spirito che il segretario del Pd critica invece le posizioni che in questi giorni stanno andando assumendo le due maggiori forze politiche del centrodestra, Forza Italia e Alleanza Nazionale, che spingono per un immediato ritorno alle urne, pur in condizioni ampiamente precarie da un punto di vista istituzionale. “Il centrodestra – afferma Veltroni – si ripresenterebbe alle elezioni con un’alleanza da vecchia stagione, fatta di coalizioni eterogenee e di incapacità di avere senso di responsabilità”. Il giudizio più duro è proprio per l’atteggiamento di profonda incoerenza che ha assunto Allenanza Nazionale: “Prima ha votato a favore della legge Calderoli, poi ha promosso il referendum per abrogarla quando bastava non averla votata in Parlamento per non dover disturbare tante persone, e ora vuole andare a votare con quella stessa legge contro la quale ha promosso il referendum. Una posizione incomprensibile”.

Quanto ai margini per giungere ad una nuova legge elettorale condivisa, veltroni si mostra fiducioso. “C’è uno spazio intermedio tra la prima e la seconda bozza Bianco in cui si può trovare una soluzione. Le condizioni ci sono”. Arrivare ad un nuovo sistema di voto è d’altronde la condizione necessaria per iniziare a riformare un assetto che non è riuscito in questi anni a dare i frutti sperati. “Servono maggioranze coese – sottolinea il numero uno del Pd – un programma fatto in libertà dalle forze che si propongono di governare il Paese e non mediato dalla necessità di mettere insieme tutti: questa è la garanzia di riformismo”. Quanto alle alleanze, Veltroni conferma di “guardare con interesse alla nascita della Cosa Rossa”, si dice sicuro che la collaborazione nei governi locali “possa continuare”, ma “a livello nazionale si deve arrivare a programmi chiari e ad alleanze che in quei programmi si riconoscono: è tempo della chiarezza, della governabilità, della serenità”.

sabato 26 gennaio 2008

L’ultimo taglio

Riportiamo di seguito un articolo pubblicato dal quotidiano "La Stampa" che credo possa aiutare a comprendere tante cose successe in questi ultimi 20 mesi:
Mentre tutti gli altri ministri con la valigia in mano s’affannavano a riempire di sederi amici le poltrone del sottopotere, ieri Tommaso Padoa-Schioppa ha chiuso ottanta sedi periferiche del Tesoro e messo in mobilità centinaia di impiegati e dirigenti. Non so se abbia fatto la cosa giusta. Di sicuro ha fatto quella contraria. Un tagliatore che continua a tagliare persino nel giorno dell’addio, incurante della scia di impopolarità che si lascia alle spalle: sembra quasi surreale, in un Paese come il nostro. Immaginiamo lo stupore di Pecoraro Scanio e di Mastella, che ha appena cantato le lodi della lottizzazione dei primari ospedalieri come quintessenza della politica.

Del resto Padoa-Schioppa non è un politico. È un banchiere che in un attacco di narcisismo masochista ha accettato di fare il ministro dell’Economia: il mestiere più detestato dagli italiani dopo l’arbitro di calcio, specie adesso che l’economia ha perso la maiuscola e va a rotoli un po’ ovunque, da noi con particolare vigore. La storia ci dirà che tipo di ministro è stato. Ma la cronaca è già in grado di raccontarci che tipo di uomo è. Coerente e cocciuto. Aggettivi oggi fuori moda, ma non fra quelli della sua generazione, venuta al mondo all’inizio della guerra o subito prima. Poi è successo quel che è successo e nel 1947 è nato Mastella.

di Massimo Gramellini

venerdì 25 gennaio 2008

La crisi di governo...

Così muore il centrosinistra

Nemmeno due anni dopo il voto che ha sconfitto Berlusconi e la sua destra, Romano Prodi deve lasciare Palazzo Chigi e uscire di scena, con il suo governo che si arrende infine al Senato dove Dini e Mastella gli votano contro, dopo una settimana d'agonia. È lo strano - e ingiusto - destino di un uomo politico che per due volte ha battuto Berlusconi, per due volte ha risanato i conti pubblici e per due volte ha dovuto interrompere a metà la sua avventura di governo per lo sfascio della maggioranza che lo aveva scelto come leader.

Con Prodi, però, oggi non finisce soltanto una leadership e un governo, ma una cultura politica - il centrosinistra - che tra alti e bassi ha attraversato gli anni più importanti del nostro Paese, segnando la storia repubblicana.
Ciò che è finito davvero, infatti, è l'idea di un'ampia coalizione che raggruppi insieme tutto ciò che è alternativo alla destra, comunque assemblato, e dovunque porti la risultante. Prodi è morto politicamente proprio di questo. È morto a destra, per la vendetta di Mastella e gli interessi di Dini, ma per due anni ha sofferto a sinistra, per gli scarti di Diliberto, Giordano e Pecoraro, soprattutto sulla politica estera. Mentre faceva firmare ai leader alleati un programma faraonico e velleitario di 281 pagine e un impegno di lealtà perfettamente inutile per l'intera legislatura, Prodi coltivava in realtà un'ambizione culturale, prima ancora che politica: quella di tenere insieme le due sinistre italiane (la riformista e la radicale), obbligandole a coniugare giustizia e solidarietà insieme con modernità e innovazione, in un patto con i moderati antiberlusconiani.
Quell'ambizione è saltata, o meglio si è tradotta talvolta in politica durante questi due anni, mai in una cultura di governo riconosciuta e riconoscibile.
I risultati positivi di un governo che ha rovesciato il proverbio, razzolando bene mentre continuava a predicare male, non sono riusciti a fare massa, a orientare un'opinione pubblica ostile per paura delle tasse, spaventata dalle risse interne alla maggioranza, disorientata dalla mancanza di un disegno comune capace di indicare una prospettiva, un paesaggio collettivo, una ragione pubblica per ritrovare il senso di comunità, muoversi insieme, condividere un percorso politico.
Anche le cose migliori che il governo ha fatto, sono state spezzettate, spolpate e azzannate dal famelico gioco d'interdizione dei partiti, incapaci di far coalizione, di sentirsi maggioranza, di indicare un'Italia diversa dopo i cinque anni berlusconiani: ai cittadini, le politiche di centrosinistra sono arrivate ogni volta svalutate, incerte, contraddittorie e soprattutto depotenziate, come se la rissa interna - che è il risultato di una mancanza di cultura comune - avesse succhiato ogni linfa. Ancor più, avesse succhiato via il senso, il significato delle cose.
Fuori dal recinto tortuoso del governo, la destra non ha fatto molto per riconquistarsi il diritto di governare. Le sue contraddizioni sono tutte aperte, e la crisi della sinistra regala a Berlusconi una leadership interna che i suoi alleati ancora ieri contestavano. Ma la destra, questo è il paradosso al ribasso del 2008, è in qualche modo sintonica e addirittura interprete del sentimento italiano dominante, che è insieme di protesta e di esclusione, forse di secessione individuale dallo Stato, probabilmente di delusione repubblicana, certamente di solitudine civica. Nella grande disconnessione da ogni discorso pubblico, che è la cifra nazionale di questa fase, il nuovo populismo berlusconiano può trovare terreno propizio, perché salta tutte le mediazioni, dà agli individui l'impressione di essere cercati dalla politica e non per una rappresentanza, ma per una sintonia separata con la leadership, una vibrazione, un'adesione, ad uno ad uno.
Intorno si è mossa e si muove la gerarchia cattolica, che ormai lascia un'impronta visibile non nel discorso pubblico dov'è la benvenuta, ma sul terreno politico, istituzionale e addirittura parlamentare, dove in una democrazia occidentale dovrebbe valere solo la legge dello Stato e la regola di maggioranza, che è la forma di decisione della democrazia. Un'impronta che sempre più, purtroppo, è quella di un Dio italiano fino ad oggi sconosciuto, che non si preoccupa di parlare all'intero Paese ma conta le sue pecore ad ogni occasione interpretando il confronto come prova di forza - dunque come atto politico - , le rinchiude nel recinto della precettistica e se deve marchiarle, lo fa sul fianco destro.
Un contesto nel quale poteva reggere soltanto una politica in grado di esprimere una cultura moderna, cosciente di sé, risolta, capace di nascere a sinistra e parlare all'intero Paese. Tutto questo è mancato, per ragioni evidenti. La vittoria mutilata del 2006 ha messo subito il governo sulla difensiva, preoccupato di munirsi all'interno, col risultato di una dilatazione abnorme di ministri e sottosegretari. Ma i partiti, mentre si munivano l'uno contro l'altro, si disconnettevano dal Paese. Nel loro mondo chiuso, hanno camminato a passo di veti, minacce e ricatti, indebolendo la figura dello stesso Presidente del Consiglio, costretto a mediare più che a indirizzare. Si sono sentite ogni giorno mille voci, a nome del governo. La voce del centrosinistra è mancata.
Oggi che Mastella ha firmato un contratto con il Cavaliere e Dini ha onorato la cambiale natalizia, risulta evidente che Prodi salta perché è saltato quell'equilibrio che univa i moderati alle due sinistre, e come tale poteva rappresentare la maggioranza dell'Italia contemporanea. Tuttavia, senza il trasformismo (non nuovo: sia Dini che Mastella sono ritornati infine a casa) Prodi non sarebbe caduto. Barcollando, il governo avrebbe ancora potuto andare avanti, e questa è la ragione che ha spinto il premier ad andare al Senato, per mettere in piena luce sia la doppia defezione da destra e verso destra, sia l'assurdità di una legge elettorale che dà allo stesso governo la vittoria alla Camera e la sconfitta al Senato.
Da qui partirà il presidente Napolitano con le consultazioni, nella sua ricerca di consolidare un equilibrio politico e istituzionale che ritrovi un baricentro al sistema e al Paese. Il Capo dello Stato dovrà dunque tentare, col suo buonsenso repubblicano, di correggere queste legge elettorale prima di riportare il Paese al voto. La strada è quella di un governo istituzionale guidato dal presidente del Senato Marini, formato da poche personalità scelte fuori dai partiti, sostenuto dalle forze di buona volontà per giungere al risultato che serve al Paese.
Riformare la legge elettorale, e se fosse possibile, riformare anche Camera e Senato, cambiando i regolamenti, riducendo il numero dei parlamentari, correggendo il bicameralismo perfetto. Un governo non a termine, ma di scopo.
Che può durare poco, se i partiti sono sinceri nell'impegno e responsabili nelle scelte, col Capo dello Stato garante del percorso e dell'approdo.

Berlusconi è contrario a questa soluzione perché vuole votare al più presto, con i rifiuti per strada a Napoli (altra prova tragica d'impotenza del centrosinistra, locale e nazionale), con piazza San Pietro ancora calda di bandiere papiste, con il volto di Prodi da esibire in campagna elettorale come un avversario già battuto, in più in grado di imbrigliare l'avversario vero, che è da oggi
Walter Veltroni.

giovedì 24 gennaio 2008

E ORA CHE SI FA??

E ora che si fa??
E’ questo il grande interrogativo a cui milioni di italiani cercano una risposta e di certo non potrò rispondere io, che a poco più di diciotto anni mi sto avvicinando, a piccoli passi, nel gigantesco mondo della politica. Forse però potrei dare qualche direttiva o come amo definirli, dei piccoli insegnamenti da una piccola persona.
In questi anni la politica ha toccato il fondo più nero e continua a raschiarlo sfidando se stessa in una gara di profondità, ci si accusa da una parte all’altra di non aver ben lavorato o di non aver agito in un determinato evento. Di politici collusi con la mafia ce ne sono a iosa, sia a destra e tanto meno a sinistra, ma si continua ad appoggiarli e sostenerli. La mia idea (e chiamatela pure infantile), è molto semplice: SMETTERE DI SOSTENERE CHI NON E’ DEGNO DI APPOGGIO. La cosa detta cosi sembrerebbe facile ma proprio qui c’è l’inghippo, non è di facile realizzazione.
A quanto pare in quest’Italia che crede di essere democratica, chi lavora viene punito (si guardi il caso De Magistris) mentre chi resta dietro una scrivania a leggere il giornale riceve promozioni e quant’altro (si osservi il collega accanto). A malincuore pero sento dire che in politica c’è solo gente poco affidabile, etc. Ma chi è la gente che siede tra quei banchi? Non sono coloro che NOI abbiamo eletto? Non è la pura e semplice rappresentanza del popolo italiano? La gente che fa parte di quella famosa CASTA non è altro che il nostro vicino di casa, il nostro collega, il nostro datore di lavoro e perchè no anche un nostro familiare. Le accuse che il popolo muove verso lo Stato Maggiore dovrebbe muoverle a se stesso. Quanti di noi hanno chiesto un aiuto per quel posto di lavoro? Quanti di noi hanno aiutato un amico, un parente, un conoscente? Quanti di noi almeno una volta non hanno mai avuto problemini con la giustizia? Ora non vorrei far sembrare gli italiani un popolo di mafiosi e collusi, pero la realtà dei fatti è questa, riprendendo la frase dell’ex ministro nonché ex senatore Mastella “Cosi fan tutti”, forse non aveva tutti i torti. Partendo dal piccolo comune qual è Laterza arrivando fino a Torino e le grandi metropoli, dappertutto la vita è segnata da questi eventi dannosi.
Eppure gente che continua a lottare per un ideale, gente che ha voglia di rimboccarsi le maniche per lavorare duramente ce n’è, il problema è permetterle di lavorare e svolgere le sue mansioni. Questo come si può fare? Partendo dal locale, promuovendo coloro che lavorano seriamente e, restando in tema, eleggere gente che ha serie intenzioni. Il Partito Democratico è nato proprio per questo, ridare una speranza al cittadino comune. Il cittadino deve imparare a non pretendere senza dare il suo contributo, il cittadino DEVE partecipare attivamente alla vita politica, DEVE pagare le tasse, DEVE avere la coscienza pulita e, solo dopo aver raggiunto questi requisiti, può cominciare a pretendere qualcosa.
Poi c’è anche la questione dei giovani. E’ vero, ci stiamo nascondendo dietro delle scuse inutili e futili, dovremmo anche noi prendere atto che il nostro futuro è ciò che costruiamo, dovremmo anche noi rimboccarci le maniche e non pensare soltanto al calcio, alla televisione e alla marca del nuovo cellulare, anche noi dobbiamo cominciare a pensare al NOSTRO futuro. Nasconderci dietro la scusa “Non ci lasciate gli spazi per poterci esprimere” è falso, di spazi ce ne sono e ce ne saranno sempre più se solo volessimo. Il problema più grande è proprio la volontà, si preferisce lasciar perdere queste discussioni noiose che non interessano a nessuno, ma non è proprio così. Ogni giorno ci scontriamo con la politica, a scuola, con gli amici, nel bar, in giro per il paese e, per chi ne avrà la fortuna, all’università.
Il governo Prodi è sicuramente arrivato ad una tragica fine politica ma non per questo l’esperienza del centro-sinistra finisce qui. Il 10 febbraio tutti i cittadini che hanno partecipato alle primarie del 14 ottobre saranno richiamati alle urne per eleggere il direttivo locale e i rappresentanti provinciali. Cominciamo da ora amici concittadini, cominciamo a far vedere che un’Italia nuova c’è, che è ancora possibile costruire qualcosa di buono dimostrando ai grillini del famoso Beppe che l’anti-politica è solo un modo per nascondere le nostre responsabilità, dimostrando ai filo-berlusconiani della nostra giunta che i laertini non sono stanchi di un governo che ha fatto cosi tanto in 20 mesi da non aver avuto il tempo di tutto, dimostriamo di aver voglia di cambiare, dimostriamo che anche noi siamo esseri pensanti e che non ci facciamo prendere facilmente in giro.
Se anche tu che leggi, giovane o adulto, sei d’accordo con me e ha voglia di dare il tuo contributo volontario ma sincero, allora aderisci al Partito Democratico, entra a far parte veramente di una grande famiglia e, se hai a cuore le sorti del nostro Paese, puoi farti eleggere nel direttivo locale o come rappresentante provinciale. Insieme tutto è possibile, rendiamo di nuovo l’Italia il fiore all’occhiello d’Europa.

Massimo Castria

Nord e Sud: dove si vive meglio?

Di seguito si riporta la parte finale di un commento che critica articolo Espresso (per leggere clicca qui).
Forse il genio del Sig. Fittipaldi, dimentica che al Sud, l’unica cosa che si può fare “forse” è quella di arrivare alla quarta settimana perché la mamma, la zia, la nonna, il cognato, il cugino etc…ti regalano, quando ne hanno di più, i prodotti della terra che coltivano! Per il resto, le tasse che si pagano sono percentualmente dello stesso importo, la benzina costa uguale, il riscaldamento altrettanto, in compenso, non ci sono strutture e infrastrutture adeguate o efficienti, se vuoi frequentare scuole di eccellenza, ti devi spostare al nord, il che significa per una famiglia del sud costi per l’abitazione, viaggi, spesa quotidiana, a Roma, Milano o Torino (che sono al nord!), se ti devi curare, devi fare i mitici viaggi della speranza, al nord, il che ancora una volta significa , costi per spostamenti, vitto e alloggio; ancora…se vuoi che tuo figlio/a riesca ad avere uno straccio di lavoro dove almeno viene pagato, gli vengono corrisposti i contributi e il suo merito riconosciuto…indovina un po’, devi andare al Nord. Infine, lo sa il Sig. Fittipaldi che al sud, soprattutto gli uomini si sono attrezzati con le macchinette per tagliarsi i capelli “fai da te”? così non spendono nemmeno i 9 €, che destinano alle spese della terza settimana! E’ davvero sicuro il Sig. Fittipaldi che il ricco stia al Sud e il Povero al nord? Perché non fa la prova!!!???
Commento Anonimo
su un articolo dell'Espresso

Democrazia Minima - Repubblica 24 gennaio

L'analista cinico e disilluso, abituato a trattare in modo cinico e disilluso la nostra democrazia cinica e disillusa potrebbe riassumere in modo cinico e disilluso l'esito di questa legislatura - ansiogena e convulsa. Usando, come approccio la "fisiologia partigiana". La patologia partitica, dettata dalla dipendenza del nostro sistema da una pletora di formazioni piccole e piccolissime. Partiti minuscoli, senza ideologia e senza programma. Perlopiù, riconducibili al solo leader. Alimentati e riprodotti da un sistema elettorale che impone le coalizioni preventive. E da una distribuzione del voto che divide gli italiani in due. Antiberlusconiani contro anticomunisti. Partiti che valgono poche centinaia di migliaia di voti. Per riferirsi all'ultimo punto di crisi: l'Udeur ha raccolto circa mezzo milione di voti, nel 2006. L'1,4% dei voti validi, ottenuti perlopiù in Campania. Determinanti, dato l'equilibrio delle forze in campo. Non solo fra gli elettori, ma anche in Parlamento. E soprattutto in Senato. Dove, infatti, numerosi "soggetti politici" sono in grado di condizionare le scelte della "maggioranza". Partiti individuali - o quasi - e individui senza partito. Pallaro, Di Gregorio, i Liberal-Democratici (LD: come Lamberto Dini), Turigliatto. E altri ancora, la cui visibilità dipende dal momento. Ovvio che ogni partito con basi elettorali limitate e tanto più i partiti individuali, presenti solo in Senato, temano ogni legge che ne metta a rischio l'esistenza. Ma anche l'influenza. Leggi maggioritarie veramente maggioritarie? No grazie. Proporzionali? A condizione che non pongano vincoli troppo esigenti. L'ideale: un proporzionale con soglia di sbarramento allo 0,5%. Oppure, in alternativa: una legge elettorale che "costringa" tutti a indicare le alleanze "prima" del voto. Così che, in un clima di incertezza tanto elevata, nessuno possa rinunciare a nessuno, se vuol vincere le elezioni. Leghe locali, pensionati, casalinghe, consumatori; e domani, immaginiamo, tassisti, professionisti e nimby di ogni genere, tipo e latitudine.

Nessun Vassallum e nessuna bozza Bianco; ma neppure il sistema tedesco (5% di sbarramento? Entrerebbero solo 5-6 partiti). Unica soluzione? Il "nanarellum". Un sistema elettorale che garantisca esistenza e influenza ai "nanetti", come li chiama Giovanni Sartori. Per questo, l'analista cinico e disilluso vede nel collasso di questi giorni un esito annunciato da tempo. A prescindere dalle inchieste dei magistrati. Qualcuno l'aveva pure detto, nei mesi scorsi. Ci pare Mastella, ma non vorremmo sbagliarci. (Anche perché non è il solo ad aver detto cose simili). Recitiamo a memoria: "Se si va al referendum, se questa maggioranza pensa di sostenerlo o di permetterlo; se accetterà "derive" maggioritarie, si sappia che il governo non durerà un minuto di più". Sarà un caso, ma la defezione di Mastella e dell'Udeur è venuta all'indomani della decisione della Corte Costituzionale, che ha decretato la legittimità del referendum elettorale; dopo il sostanziale stallo (fallimento) del negoziato (fra interessi impossibili da comporre) sulla legge elettorale, promosso da Veltroni e sostenuto, a parole, da Berlusconi; dopo la volontà, dichiarata da Veltroni, di far procedere il PD "da solo". Oggi, in sede negoziale. Ma anche domani, alle elezioni.

Sembra la cronaca di una fine annunciata. Colpisce una legislatura che, superato questo cupo gennaio, scivolerebbe, inevitabilmente, verso la prova del referendum.
Una questione di "fisiologia politica": è l'istinto di sopravvivenza dei partiti minimi (e non solo il loro) che sembra spingere alle elezioni, al più presto possibile. Per votare con il vituperato "porcellum". Meglio "porcelli" ma vivi, insomma.

E' una lettura cinica e disillusa, da analista cinico e disilluso. Banale e qualunquista: ce ne rendiamo conto. Utilizza argomenti mediocri. Fa riferimento agli istinti politici più elementari invece che agli accesi dibattiti dei giorni scorsi. Svaluta le polemiche aspre riguardo al rapporto fra magistratura e politica, Chiesa e Stato, cattolici e laici, Nord e Sud. I temi, gravi, della politica economica, finanziaria, internazionale, la sicurezza, l'occupazione, le morti sul lavoro. Trascura perfino la contrapposizione - a suo modo passionale - fra antiberlusconiani e anticomunisti. Dedica attenzione massima a cose minime, insomma. Lo stesso approccio, cinico e disilluso, tuttavia, suggerisce pensieri diversi e quasi opposti. Che sollevano qualche dubbio sulla fine anticipata - anzi: immediata - della legislatura. Sulle elezioni subito: ad aprile. Contro queste prospettive congiura l'istinto di conservazione dei parlamentari. Molti dei quali, se legislatura non arrivasse a metà percorso - se finisse prima di ottobre, insomma - perderebbero il diritto alla pensione. Rinuncerebbero ai numerosi benefit offerti loro dall'attuale carica. Senza alcuna garanzia di venire ricandidati e rieletti. Perché ogni seggio lasciato rischia di essere perso. Perché la concorrenza cresce sempre di più (se Mastella e l'Udeur, putacaso, confluissero nel centrodestra, a chi leverebbero posto? Posti?). Osservazioni venali e veniali di fronte alla gravità del momento e alla serietà dei motivi gridati dagli attori politici che interpretano la crisi attuale. Temi etici, estetici, programmatici, economici, deontologici, istituzionali, costituzionali e altro ancora.
Sbaglia sicuramente l'analista cinico e disilluso, quando descrive una "democrazia minima", i cui destini si decidono a Ceppaloni. Quando racconta farse che finiscono in tragedia.
Ilvo Diamanti

Viva la faccia tosta!

Le dichiarazioni di voto che ieri hanno preceduto la rinnovata fiducia al Governo Prodi, sono state caratterizzate da una serie di attacchi sferzati contro il Pd e segnatamente contro il suo leader Walter Veltroni.
La cosa incredibile è che tali attacchi sono provenuti non dai banchi della opposizione, come era lecito attendersi, ma da quelli della maggioranza. I cosiddetti “nanetti” hanno sostenuto che le responsabilità dell’attuale crisi di governo fossero da imputare alla volontà espressa da Veltroni di presentare alle prossime elezioni delle liste autonome del Pd.
Tutto ci si poteva aspettare, tranne di essere accusati di aver sabotato l’attuale maggioranza e il governo. Chi oggi accusa il Pd dovrebbe ricordare lo scenario pietoso che è stato offerto all’Italia a causa dei loro continui ricatti, volti ad ottenere la visibilità necessaria alla loro sopravvivenza.
Così come dovrebbe, chi oggi ci attacca, ricordare che l’unica forza del centrosinistra che ha sempre mostrato senso di responsabilità è stata il Pd, che ha evitato a questo Paese di essere esposto alla drammatica perdita di credibilità dovuta al mancato rispetto degli impegni internazionali assunti, che con senso di equilibrio e di responsabilità ha cercato di mediare per la sopravvivenza di questa riottosa coalizione.
Questo governo tanto ha fatto, e credo sia giusto sottolinearlo, ma ho l’impressione che la gente più che ricordare queste cose ricordi la confusione, le crisi minacciate, i provvedimenti rivisti decine di volte, le indiscrezioni, le smentite….Chi può negare che l’attuale crisi non sia il frutto degenerato di tale atteggiamento? Mastella ha chiesto di sottoscrivere il suo discutibile attacco alla magistratura, oppure vi sarebbe stata la crisi. Chi oggi stizzito protesta probabilmente avrebbe fatto saltare tutto se si fosse andati al referendum, o se si fosse varata una legge elettorale che, per garantire la governabilità, avesse limitato l’influenza dei piccoli partiti, come dire…viva la faccia tosta!

Francesco Vasto

Sì, è proprio il paese delle anomalie!

Questa mattina, leggevo un articolo sul sole 24 ore radiocor, che 11 atenei Italiani sono stati dotati "di un gruzzolo di 74 borse di studio finanziate dal sistema camerale,dall'Ice e da alcune aziende”, con l’obiettivo di reclutare in India, giovani universitari particolarmente brillanti ai quali offrire le borse di studio per completare il proprio curriculum e di effettuare degli stage remunerati in aziende italiane.” L’articolo continua ancora …”Si è aperta così la possibilità di un collegamento stretto e durevole tra le risorse, manageriali e tecniche indiane di prossimo inserimento nel mercato del lavoro e le imprese italiane al fine di offrire alle nostre aziende partecipanti al progetto, l’opportunità di ASSUMERE A FINE CORSO, giovani specializzati nei propri settori operativi, o di reclutarli nelle filiali delocalizzate in India. Bene bene, mi chiedevo a fine lettura, ma tutto questo straordinario interesse a far crescere le professionalità straniere in Italia per dare loro l’opportunità di fare stage remunerati oppure essere assunti anche in Italia non è come dare un calcio nel culo forte a tutti quei “bamboccioni italiani” a detta del caro prossimo ex ministro Padoa Schioppa, che si sono fatti un mazzo esagerato a studiare in Italia, prendendosi lauree, master, qualifiche etc…e che adesso sono a spasso senza alcuna certezza che prima o poi troveranno un lavoro? Perché la Farnesina non fa finta che l’Italia stessa sia la “Nuova India” e si interessa per far sì che anche i nostri ragazzi abbiano la possibilità di fare stage remunerati nelle nostre aziende e magari anche l’opportunità a fine corso di essere assunti. Perché non fanno un sondaggio e chiedono a nostri laureati se sono mai stati pagati durante il periodo dello stage? Sono sicuro che la percentuale sarebbe molto molto bassa, in particolare al Sud, il terzo mondo dell’Europa. E sì…, è proprio il paese delle anomalie, anzi delle pazzie folli.

Un commento non firmato

martedì 22 gennaio 2008

Il Paese dell'anomalia

Nell'esausta democrazia italiana, malata di opposti estremismi e di mutui immobilismi, è difficile anche morire. Tra grandi montagne di rifiuti materiali e piccole vendette personali, le ultime ore di vita del governo di Romano Prodi sono un tormento politico e un calvario mediatico. Nulla è normale, lineare, fisiologico, nell'irrisolta e mai realmente compiuta Seconda Repubblica. In qualunque altro Paese dell'Europa moderna una maggioranza cade in Parlamento, per una rottura politica che gli elettori capiscono, e di cui comprendono le ragioni. Solo in Italia il leader di un piccolo partito può annunciare la fine di una maggioranza politica in una conferenza stampa, e poi nel solito salotto di Porta a porta. Senza prima spiegare alle Camere le sue motivazioni, e senza rendere conto all'opinione pubblica delle sue decisioni. La "rupture" di Clemente Mastella è il gesto irresponsabile di un ministro Guardasigilli che, colpito da una pesante e non del tutto convincente inchiesta della magistratura, ha trasformato se stesso in un martire, mai abbastanza "protetto" dai suoi stessi alleati. E fingendo di immolare se stesso sull'altare della persecuzione giudiziaria, ha finito per sacrificare il governo sull'altare della convenienza politica. Forse l'ha fatto per evitare comunque le forche caudine del referendum, come lasciano pensare le mosse dell'Udeur successive al via libera della Consulta ai quesiti. O forse l'ha fatto perché ha già in tasca un accordo con Berlusconi, come lascia sospettare la sua pretesa, del tutto irrituale, di ottenere "la crisi di governo e le elezioni anticipate".Sta di fatto che questo, probabilmente, è l'atto finale con il quale si compie il destino di Prodi, e si avvera l'ormai celebre profezia di Fausto Bertinotti, che aveva paragonato il premier al Cardarelli di Flaiano, "il più grande poeta morente". È anche, verosimilmente, il rito di passaggio che finirà per riportare gli italiani alle urne, con tre anni di anticipo sulla regolare scadenza della legislatura. Ma neanche quest'ultimo strappo, al momento, è ancora sufficiente a trasformare una crisi virtuale, che purtroppo dura ormai da qualche mese, in una vera e propria crisi formale. C'è modo e modo di morire. E se proprio gli tocca, Prodi vuol morire a modo suo. In un modo che lasci il segno, non solo sulla sua immagine personale di questi giorni, ma anche e soprattutto sull'anomala transizione italiana di questi anni. Per questo la sua strategia, messa a punto nella notte insieme ai colleghi ministri e ai leader del centrosinistra, prevede una serie di tappe che non appaiono del tutto scontate, e che potrebbero riservare persino ulteriori sorprese. Prodi oggi non andrà a dimettersi nelle mani del Capo dello Stato, come gli chiede in coro il centrodestra ricompattato dall'eutanasia del centrosinistra. Si presenterà invece alla Camera, per il dibattito sulla giustizia, o facendosi approvare un ordine del giorno, o chiedendo esplicitamente la fiducia. La otterrà, perché nonostante tutto il Pd e la sinistra radicale non hanno alcuna intenzione di staccare la spina, e perché a Montecitorio il governo ha i numeri anche senza l'Udeur. A quel punto, forte di questo imprimatur di un ramo del Parlamento, affronterà le forche caudine del Senato. E a Palazzo Madama, se nel frattempo non fosse riuscito un tentativo estremo di far rientrare Mastella, o quanto meno di convincere i dubbiosi del suo partito a recedere dal proposito di uscire dalla maggioranza, il premier potrà anche cadere. Ma nella caduta, marcherà a fuoco l'intollerabile anomalia del sistema politico-istituzionale: un voto disgiunto tra la Camera che dà la fiducia e il Senato che la nega, ultimo frutto avvelenato di una legge elettorale scellerata (il "porcellum"). E così segnalerà una volta di più l'urgenza di non interrompere il cammino del governo, perché anche ad esso è collegato il cammino delle riforme istituzionali ed elettorali necessarie a superare quell'anomalia di sistema. Visto nell'ottica degli "addetti ai lavori", in questo percorso tortuoso c'è un elemento di valutazione che anche il presidente della Repubblica, quando sarà chiamato a decidere il da farsi, non potrà trascurare del tutto. Ma non si può negare che, visto invece in nell'ottica della gente comune, questo può sembrare un inutile, disperato bizantinismo del Palazzo romano. Si può capire che Walter Veltroni, e con lui lo stato maggiore del Pd, faccia di tutto per sostenere il tentativo del governo. Ha vissuto con crescente disagio il dovere morale di intestarsene i problemi, dallo scandalo dei rifiuti a Napoli allo stesso caso Mastella. Ha dovuto procedere, con andatura a tratti schizofrenica, su un doppio binario: la condivisione forzata (esprimendo solidarietà politicamente "costose" perché altamente impopolari, per esempio a Bassolino e a Pecoraro-Scanio) e la vocazione maggioritaria (sostenendo costantemente la sfida ai "nanetti" dell'Unione sulla libertà del Pd di presentarsi da solo qualunque sia il sistema elettorale, che ha finito per far saltare i nervi all'Udeur).Proprio oggi, nonostante tutto, Veltroni non può permettersi il lusso di scaricare Prodi, senza pagare a sua volta il prezzo di una co-gestione dei suoi insuccessi più recenti: dall'azione di governo allo stesso esito, purtroppo improduttivo, del dialogo sulla riforma elettorale.Questo tema chiama in causa l'altro protagonista di questa fase cruciale. Non si capisce perché mai Silvio Berlusconi dovrebbe fermarsi, ormai a meno di un metro dal traguardo che insegue da un anno e mezzo di spallate fallite. Il Cavaliere ha tutto l'interesse a sbarrare la strada non solo alla sopravvivenza di Prodi, il che è fin troppo ovvio, ma anche a qualunque altra ipotesi che non contempli le elezioni anticipate. Governo tecnico-istituzionale compreso. Conoscendo il soggetto, già pareva difficile individuare la sua convenienza a fare un accordo con Veltroni sul "Vassallum" o sulla bozza Bianco, che avrebbe allungato la vita a un Prodi solido al governo. Figuriamoci dove può essere il suo vantaggio ad assecondare l'operazione proprio adesso, appoggiando un tentativo ulteriore di un Marini o di chissà chi altro, con un Prodi ormai "morente" a Palazzo Chigi. Il richiamo della foresta, per il Cavaliere, è a questo punto troppo forte. E Fini e Casini, in queste condizioni-capestro, non possono resistergli senza dare ai rispettivi elettorati l'impressione di voler azzardare chissà quale inciucio. Per questo, alla fine, l'epilogo di questa crisi saranno le elezioni anticipate. Solo dopo averle vinte, semmai, Berlusconi potrà fare il nobile gesto da "costituente". E aprire lui, a quel punto, da sovrano illuminato e autocandidato al Quirinale, la stagione delle "larghe intese". È un'ipotesi suggestiva, che lo consegnerebbe alla Storia. Ma con il Cavaliere non si sa mai. In fondo, in lui si insinua sempre il dubbio che fu già di Groucho Marx: perché dovrei fare qualcosa per i posteri? Cos'hanno fatto i posteri per me? Eppure, con l'ultimo audace colpo di dannunziano autolesionismo, è proprio a quest'uomo che un centrosinistra ormai a pezzi sta per riconsegnare le chiavi del Paese.
di MASSIMO GIANNINI
(22 gennaio 2008)

lunedì 21 gennaio 2008

FRANCESCHINI: STUPITO DAI «PICCOLI». SONO LORO CHE MINACCIANO IL GOVERNO

ROMA — Dario Franceschini, ma allora davvero vi presenterete da soli alle prossime elezioni? Il vicesegretario del Partito democratico non ha esitazioni: «Mi stupisce la reazione di chi ha giudicato improvviso e inaspettato, quasi un tradimento, l'annuncio di Veltroni: è sin dall'inizio che abbiamo detto a tutti con chiarezza due cose: da una parte che avremmo continuato a sostenere con la massima lealtà il governo, dall'altra che il Pd è un partito a vocazione maggioritaria». E allora, come risponde alle proteste delle formazioni minori? «È paradossale dire che la nascita del Pd o la scelta di presentarsi da soli mettano a rischio la maggioranza, quando molti di quelli che lo affermano non fanno che ripetere da sempre lo stesso ritornello: "O ci ascoltate o facciamo cadere il governo". C'è mai stato un esponente del Partito democratico che ha mai detto questo? Ed è un delitto dire che in futuro dovranno esserci coalizioni meno eterogenee, quindi in grado di governare?» Veltroni l'ha presntata comunque come una notizia di rilievo. E a fare muro è stata anche l'area del partito che fa capo a Rosy Bindi e Arturo Parisi. «Non mi scandalizzo. È normale che ci sia dibattito interno in un partito che rappresenta circa un terzo degli italiani. Ma i tre milioni che hanno votato Veltroni alle primarie hanno chiesto un forte impegno a cambiare. Vogliamo aprire una nuova fase del bipolarismo chiudendo quella in cui le alleanze si facevano solo contro qualcuno con il risultato di coalizioni troppo frammentate. E comunque, a mio giudizio, il problema è soprattutto uno». Quale? «Appare ormai chiaro che gli italiani hanno voglia di due grandi partiti: uno democratico e uno conservatore, in concorrenza aperta su due programmi diversi e distinti. Poi, se non raggiungono la maggioranza, ovviamente decidono con chi allearsi». Ha ragione quindi chi dice che volete le «mani libere»? «Oltre al Partito democratico ci saranno altre forze che riusciranno a superare la soglia di sbarramento. Ad esempio la Cosa Rossa, quando nascerà. Dato che non possiamo fare patti con le forze del centrodestra, loro potranno essere nostri alleati. Però solo in presenza di una condivisione programmatica vera, chiara e pulita». Guarderete cioè più a sinistra che al centro? «Più che alle sigle guarderemo a tutti gli italiani, quindi anche al centro, inteso come quegli elettori moderati che aspettano da tempo una politica del fare connotata dal buon senso e dalla concretezza. Intanto però lavoriamo sulla riforma elettorale ». Non ci sono troppi veti sulla bozza Bianco che in questi giorni dovrebbe essere votata in commissione al Senato? «Ci stiamo impegnando per un'intesa più larga e bipartisan possibile: è per questo che abbiamo insistito sulla necessità di dialogare anche con Silvio Berlusconi. Noi, come si sa, avremmo preferito il sistema francese a doppio turno, con elezione diretta del presidente della Repubblica, ma dato che non è possibile stiamo lavorando sulla bozza Bianco. Fra pochi giorni si vedrà comunque chi vuole fare veramente la riforma e chi invece preferisce bloccarla». Altrimenti ci sarà il referendum, che molti sembrano avere già messo nel conto, a partire dallo stesso Veltroni. «Puntiamo a fare la legge perché il referendum non risolve le difficoltà nate con l'attuale legge elettorale ». Ma se non ci si riuscirà e vinceranno i «sì» al referendum, il partito più forte potrà governare anche solo con il 30 per cento, grazie al premio di maggioranza. «Per questo stiamo lavorando ad un compromesso. Ma una cosa deve essere chiara a tutti, a partire da chi protesta un giorno sì e uno no: non accetteremo mai di abbassare la soglia minima di sbarramento, fissata al 5 per cento. Altrimenti avremmo perso la nostra battaglia contro la frammentazione e la difficoltà a governare. Ci batteremo inoltre per il cambiamento dei regolamenti parlamentari. Perché, soprattutto, non sia possibile creare gruppi parlamentari diversi da quelli che vengono determinati dal voto popolare». Non teme la settimana «terribile » che attende il governo, a partire dal voto di solidarietà a Mastella richiesto dall'Udeur alla Camera? «Per quanto riguarda Clemente Mastella ho già espresso nell'aula di Montecitorio la solidarietà umana e politica del Partito democratico. E martedì non mancherà certamente alla Camera il sostegno alla relazione sulla giustizia che sarà presentata dal ministro ad interim Romano Prodi». E mercoledì a Palazzo Madama, quando verrà discussa e votata la mozione di sfiducia al ministro Pecoraro Scanio, con Dini che ha già annunciato il suo «sì»? «Sui rifiuti in Campania credo che prima si debba risolvere il problema, poi guardare alle responsabilità. Ma a Lamberto Dini chiedo di ripensarci: se vuole davvero rappresentare quella parte dell'elettorato moderato di cui parla non dovrebbe desiderare di consegnare il Paese alla crisi».
Roberto Zuccolini
Corriere della sera 21-01-2008

Correre da soli è meglio che stare fermi

Accade di tutto. In queste settimane le vicende politiche si susseguono a ritmi vertiginosi, facendo "sbandare" l'opinione pubblica. Walter Veltroni ha paragonato la classe politica all'orchestrina del Titanic: che continua a suonare mentre la nave affonda. Di qui la necessità di mettere ordine e semplificare la politica italiana. Il Pd è nato per cambiare la politica in Italia ma sempre di più rischia di farsi risucchiare. Non si può tirare a campare c'è la necessità di accelerare la fase delle riforme, sapendo (così come spiega lucidamente Ilvo Diamanti nel suo articolo "La notte della Repubblica") che le condizioni di oggi sono molto più complesse e difficili rispetto agli anni "novanta".
Un Partito Democratico che corre da solo è la soluzione? Una frase provocatoria? Una affermazione che rischia di far cadere il governo?
A mio avviso Veltroni intende fare sul serio e non intende stare a guardare la nave che affonda (mi è piaciuto il foto ritocco preso dal sito www.ildemocritico.blogspot.com che vi propongo in abbinamento con il mio post) .
Il via libera al referendum elettorale costringe tutti a fare i conti con le ingessature del sistema politico italiano. Una riforma elettorale è tale quando la si fa nell'interesse del governo del paese. Gli interessi di parte, o addirittura personali, di alcuni partiti sembrano rivendicazioni risibili difronte alle emergenze democratiche italiane. La casta politica non ha imparato niente e continua ad "autoalimentarsi" senza pudore alcuno. A questo punto il Pd deve prendersi le sue responsabilità e iniziare a correre prima che sia troppo tardi.
Franco Catapano
Mi piacerebbe leggere post o commenti sulla proposta di Veltroni.

domenica 20 gennaio 2008

Direzione Regionale PD Puglia

BARI - 21 GENNAIO 2008 - h. 16,30 presso

HOTEL EXCELSIOR - Via Giulio Petroni, 15

DIREZIONE REGIONALE P.D. PUGLIA

O.d.g.: Convocazione Stati Generali
Elezioni Amministrative 2008

Partecipa: Sen. Goffredo Bettini - Coordinatore dell'esecutivo nazionale P.D.

La notte della Repubblica di Ilvo Diamanti

SETTIMANE come questa lasciano un sentimento di sconcerto di rara intensità. Un giorno dopo l'altro, una cattiva notizia. Un'emergenza. Senza soluzione di continuità. I rifiuti di Napoli e le polemiche sulla lezione di Benedetto XVI alla Sapienza, annunziata e successivamente annullata. Le accuse dei magistrati a Sandra Lonardo e al marito, Clemente Mastella; e le dimissioni del ministro Guardasigilli. L'appoggio esterno dell'Udeur al governo (un paradosso) e la possibile crisi. L'inchiesta sulle segnalazioni di Berlusconi a Saccà e la condanna del governatore siciliano Cuffaro per favoreggiamento. E ancora: i contrasti fra Confindustria e sindacato, le proteste dei metalmeccanici. Fino alla nuova tragedia sul lavoro, a Marghera. Non manca proprio nulla al catalogo dei mali italiani - antichi e nuovi. Per cui cresce la tentazione popolare (non di rado praticata) di star lontani dai giornali e dai telegiornali. Oppure, di girare pagina e canale ogni volta che incontriamo la politica, ma anche la cronaca.
L'inverno civile che stiamo attraversando non accenna a chiudersi, tanto meno a intiepidirsi. Non deve sorprende, allora, se, da molte parti, si evocano i primi anni Novanta. La fine della prima Repubblica. L'avvio di una transizione patologica che non transita mai, ma diventa sempre più indecifrabile.Molti segni, d'altronde, suggeriscono questo accostamento. Gli (esorbitanti) indici di sfiducia nelle istituzioni e negli attori politici; il ricorso al referendum sulla legge elettorale; gli scontri fra magistrati e politici. Il copione di questa stagione rammenta da vicino quello di quindici anni fa. C'è, per questo, chi invoca il '92; una nuova frattura. Per ritentare l'impresa avviata allora, senza fortuna. Voltare pagina, andare oltre "l'anomalia italiana".Come la chiamavano gli osservatori stranieri. Come la percepivano, con fastidio, gli stessi italiani. I quali, però, oggi assistono spaesati alla catena senza fine delle cattive notizie. Quasi rassegnati. Perché molto è cambiato dal '92. A differenza di allora, non hanno ganci a cui attaccarsi, né reti che li tengano insieme. Ma, soprattutto, non riescono a guardare avanti. A sperare!
1. Agli inizi degli anni Novanta, gli italiani, di fronte alla dissoluzione dei partiti e alla delegittimazione della classe politica, potevano aggrapparsi ad alcuni appigli. I magistrati, considerati i "giustizieri". I tribuni del popolo indignato, che "non ne poteva più". I nuovi soggetti politici, emersi nel vuoto prodotto dallo sbriciolarsi della prima Repubblica. Partiti: la Lega, la Rete. In seguito, Berlusconi e Forza Italia. An, cresciuta sulle radici del Msi. Mariotto Segni e i referendari. L'Ulivo nascente. Inoltre, i sindaci, che colmavano la distanza fra istituzioni e società "personalizzando" il rapporto con i cittadini su base locale.La "questione settentrionale", agitata dalle piccole imprese e dai movimenti autonomisti, non marcava solo distacco, ma anche domanda di riforme profonde. E alimentava il disordinato dinamismo del Mezzogiorno. Sotto il profilo economico, dell'associazionismo, delle città.
Poi, ci rassicurava il vincolo esterno imposto dall'Unione Europea. Che ci costringeva a comportamenti finanziari ed economici virtuosi. In fondo, la grande fiducia riscossa dall'Unione Europea in quegli anni rifletteva la grande sfiducia nello Stato e nella classe politica del nostro Paese.
2. Il Paese, per quanto diviso e attraversato da tensioni profonde, nei primi anni Novanta era tenuto insieme da alcune grandi organizzazioni di rappresentanza economica, dalle associazioni volontarie. La "concertazione", promossa da Ciampi (al tempo presidente del Consiglio) insieme a sindacati, Confindustria e, in seguito, ad altre organizzazioni di categoria, costituì un metodo per affrontare la crisi economica del Paese. Ma anche per ridurre il deficit di consenso e di fiducia nelle istituzioni. D'altronde, insieme al "muro" erano crollate anche le ideologie. Mentre, dopo la fine della Dc, i cattolici si erano "sparsi" in tutte le direzioni, in tutti i principali partiti. L'Italia, quindici anni fa, nonostante le tensioni e le fratture, appariva un Paese accomunato dalle particolarità; per questo flessibile, capace di adattarsi, di "arrangiarsi" nelle occasioni più difficili. Di reagire alle emergenze. Anzi: di reggere alle fratture (come quella Nord/Sud) e di trasformare le emergenze in motivo di unità e rilancio. Oggi, invece, i colpi e i contraccolpi che scuotono il sistema non suscitano speranza. Solo spaesamento.
3. I ganci si sono sganciati. Rispetto ai primi anni Novanta è cresciuta ulteriormente la sfiducia nei confronti dei "partiti" e dei "politici". La "casta" dei privilegiati (per riprendere il titolo del fortunato libro di Stella e Rizzo). Contro cui si è mobilitata una protesta "antipolitica" molto ampia. Il cui esponente più significativo è Beppe Grillo.I sindaci, soprattutto al Sud, non fanno più miracoli. Anzi. I cittadini li sentono lontani, quanto e più degli altri politici. Il Paese si è spezzato. Il Mezzogiorno: rientrato nella spirale del sottosviluppo, ricacciato negli stereotipi del passato. Il Nord - e il Nordest, in particolare - impegnato a marcare le distanze da Roma e dal Sud. L'Unione Europea non è percepita più come un'ancora, ma, da una quota crescente di cittadini, come un vincolo, un freno. Il Paese più eurottimista d'Europa, infine, è divenuto euroscettico. Insofferente verso l'euro, considerato responsabile dell'inflazione crescente. Per alcuni attori politici, come la Lega, Bruxelles è, da tempo, come Roma. Entrambe capitali di Stati nemici. I magistrati non godono più del consenso popolare. La fiducia nei loro confronti si è quasi dimezzata, rispetto a quindici anni fa. Ma è calata anche rispetto a pochi anni addietro. Sono percepiti non più come "garanti" della democrazia, ma come "un" potere in conflitto con gli altri. 4. Non c'è più colla a tenere insieme i pezzi della società e del Paese. Le organizzazioni economiche e sociali - Confindustria e sindacati in primo luogo - appaiono anch'esse largamente "sfiduciate" dai cittadini. Non "concertano" più. Confliggono, si dividono e dividono. La stessa presenza di grandi associazioni oggi appare un po' sbiadita. Le Onlus si stanno trasformando in grandi imprese, per quanto dedite a finalità benefiche. Parte del volontariato si è, anch'esso, aziendalizzato. La compassione e la solidarietà si sono mediatizzate. Praticate a distanza. Un Sms, un'offerta sul proprio conto. Un clic e via. Siamo più buoni.Cattolici e laici: non definiscono più identità compatibili. Ma sempre più alternative. Solchi di una comunità che non è più tale. Divisa dall'etica e nella politica. 5. Così, anche i rimedi e le terapie non hanno più la stessa presa di un tempo. Lo stesso referendum è accolto dai più (che lo sostengono) come il male minore. Una pistola puntata alla tempia, per costringere il legislatore a legiferare. Ma dopo vent'anni di referendum elettorali, affidare loro una missione salvifica pare davvero troppo. Anche la minaccia di nuove elezioni. Magari, anzi, probabilmente si avvia a diventare un destino ineluttabile. Ma è difficile immaginare che un nuovo terremoto, uno strappo violento, possa sottrarci a questa condizione miserevole. Perché, quindici anni dopo, è svanita la speranza che aveva accompagnato il "crollo" del sistema. Quasi come un evento liberatorio. Una palingenesi che avrebbe fatto sorgere un ordine nuovo. Uomini nuovi. Per questo, ora che è quasi buio, affrontare la notte di una lunga campagna elettorale fa correre un brivido. Senza ganci, senza colla, senza cornici. Ma con queste regole, queste divisioni, questi partiti e questi leader, in gran parte responsabili della lunga e improduttiva transizione italiana. Qualcuno è disposto a sperare ancora in un big-bang che riunisca i pezzi di questo Paese a pezzi? E che, per caso (o per caos), ricomponga il complesso mosaico italiano?
(20 gennaio 2008)

il Pd correrà da solo ...

«Quale che sia il sistema elettorale, o il testo Bianco o il referendum, o l'attuale legge elettorale, voglio dire con chiarezza che il Pd si presenterà con le liste del Partito democratico. E se Forza Italia avesse il coraggio di fare altrettanto sarebbe un’enorme conquista per la democrazia italiana». E' questa la convinzione espressa dal leader del Pd Walter Veltroni, intervenendo ad Orvieto al convegno “Progettare l’innovazione liberamente”, l’assemblea nazionale annuale di “Libertà uguale”, movimento guidato da Enrico Mornado e sostenuto da Michele Salvati.
Il segretario del Pd, nel suo intervento, tocca molti temi di interesse ed attualità politica, a partire naturalmente dal dibattito in corso tra le forze parlamentari sulla riforma della legge elettorale. E in un momento in cui, a livello politico, regna la confusione, il sindaco di Roma sostiene senza mezzi termini che, alla lunga, la chiarezza paga: «Il Pd correrà da solo e auspico che lo faccia anche Forza Italia». Rivolgendosi a Michele Salvati, che dava per certa un’eventuale sconfitta in caso di ritorno al voto in breve tempo, Veltroni ha ribattuto di non essere poi così sicuro che «di fronte a due offerte, una coalizione che va da Storace a Casini e un partito, il Pd, che chiede il consenso agli italiani sulla base di un programma di innovazione, questo non possa avere un effetto premiante».La priorità, comunque, rimane quella di scrivere una nuova legge elettorale prima che si giunga alla consultazione referendaria, che il governo si vedrà obbligato a fissare tra il 15 aprile e il 15 giugno in caso di mancato varo della riforma per vie parlamentari. Anche da questo punto di vista, il segretario del Pd manifesta convinzione. «Sulla questione della legge elettorale – afferma – siamo riusciti ad aprire un dialogo tra le forze politiche, un dialogo con la principale forza dell'opposizione. Non si può pensare di approdare alla legge elettorale a prescindere da ciò. L'esito del dibattito – chiarisce Veltroni – dipenderà dal senso di responsabilità di tutti poiché mai come oggi siamo vicini ad una soluzione. Far saltare oggi il tavolo – ricorda inoltre Veltroni – significa far saltare anche le riforme istituzionali». A questo punto, sostiene il segretario del Pd, «la cosa importante è cominciare, poi maturerà un'intesa che sia in mezzo ai due testi (le due bozze presentate dal presidente della commissione Affari costituzionali del Senato Enzo Bianco, ndr) per trovare il consenso più largo possibile».Una nuova legge elettorale, dunque, un nuovo assetto istituzionale. I primi passi per provare ad invertire la tendenza, per tentare di arginare quella crisi che da alcuni anni sta attanagliando il sistema politico italiano. «La crisi della democrazia italiana – spiega Veltroni nel corso del suo intervento – è molto profonda e può portare ad un distacco tra la classe dirigente e i cittadini». Il segretario del Pd porta molti esempi per cercare di esplicitare quanto sostenuto, uno su tutti, quello dell'emergenza rifiuti in Campania, che, secondo il leader del Pd altro non è che «lo specchio di un Paese che non riesce a decidere perchè paralizzato».Crisi delle istituzioni come incapacità della politica di prendere decisioni. Questo il grave dramma che colpisce oggi il sistema Italia. «Si sta verificando – sottolinea Veltroni – una perdita di autorevolezza a fronte di una incapacità di decidere. Veti, condizionamenti, conservatorismi, ideologie vecchie e nuove – ha insistito – impediscono all'Italia di essere un Paese competitivo. Mai come in questo momento la crisi è radicata nel vissuto degli italiani, esempio sono i cittadini di San Giorgio a Cremano che non riescono ad uscire di casa perché sommersi dalla spazzatura a causa dell'incapacità a decidere».Insomma, secondo il sindaco di Roma, «lo scenario è inquieto: la vita politica italiana mi sembra l'orchestrina del Titanic, attenta ad occuparsi della marginalità delle cose e non della sostanza delle vere questioni e dei problemi delle famiglie italiane». Una considerazione «molto cupa» del segretario del Partito democratico, che vede nella distanza tra la dimensione mediatica della politica e quella reale dei cittadini, una delle più drammatiche anomalie della situazione che stiamo vivendo. «Se il Pd sceglierà la prima», ovvero la dimensione mediatica, «verrà meno alla sua vocazione». Secondo Veltroni, l’obbligo della politica deve tornare ad essere quello di occuparsi delle «cose molto preoccupanti che stanno succedendo nel nostro Paese». Nel suo discorso non manca un riferimento al rischio recessione negli Usa, questione «drammaticamente sottovalutata dalla politica e dall'opinione pubblica italiana. La Banca d'Italia ha reso noto che i dati di crescita subiscono contraccolpi, all'1%, e l'Istat ci dice che il 50% delle famiglie ha a disposizione solo 1.900 euro al mese. Queste – insiste il segretario – sono le preoccupazioni della vita italiana».

venerdì 18 gennaio 2008

Semaforo inutile e dannoso

I consiglieri comunali di opposizione (F. Perrone, S. Stano, A. Cirielli, G. Serafini, G. Stano, L. Caldaralo e F. Catapano) hanno presentato richiesta di un punto all'ordine del giorno per il prossimo Consiglio Comunale sul famoso semaforo di Via Roma, di seguito riportata.

A seguito di numerosi solleciti nonchè manifestazioni di dissenso di tanti cittadini giustificate da altrettante considerazioni sulla giusta o meno utilità del semaforo posizionato in via Roma, tanto da manifestarsi in una massiccia petizione popolare, si chiede di inserire il punto all'ordine del giorno del prossimo consiglio comunale:

- Semaforo a Via Roma: analisi e possibili soluzioni alternative.

Laterza, 17 gennaio 2008

Sanità e tessere, così fan tutti - Gian Antonio Stella

«Cercasi radiologo targato Ds». «AAA. Cercasi pediatra vicino An». «AAA. Cercasi neurochirurgo convintamente Udc».
Dovrebbero avere l'onestà di pubblicare annunci così, i partiti: sarebbero più trasparenti. Perché questo emerge dalle intercettazioni della «Mastella Dynasty»: la conferma che la politica ha allungato le mani sulla sanità. Padiglione per padiglione, reparto per reparto, corsia per corsia. A donna Alessandrina, che oltre a preparare cicatielli con ragù di tracchiole si diletta di spartizione di poltrone, sarebbero servite «due cortesie: una in Neurochirurgia e una in Cardiologia». Il marito invece, a sentire lo sfogo telefonico del consuocero Carlo Camilleri, si sarebbe arrabbiato assai per «l'incarico di primario a ginecologia al fratello di Mino Izzo... Ma ti pare... Proprio il fratello di uno di Forza Italia che è di Benevento ed è contro di me... Ma non teniamo un altro ginecologo a cui dare questo incarico?». Vi chiederete: che se ne fa Clemente d'un ginecologo «suo»? E poi, con nove milioni di processi pendenti e i tagli folli ai bilanci dei tribunali e i giudici che si portano la carta igienica da casa, come faceva il ministro della Giustizia a trovare il tempo di occuparsi della bottega clientelare? Ecco il punto: è in corso da anni, ma diventa sempre più combattuto e feroce, un vero e proprio assalto dei segretari, dei padroni delle tessere, dei capicorrente al mondo della sanità. Visto come un territorio dove distribuire piaceri per raccogliere consensi.
Vale per il Sud, vale per il Nord. Per le regioni d'un colore o di un altro.
Nella Vibo Valentia in mano al centrosinistra ardono le polemiche sulla decisione di distribuire 40 primariati (di cui 38 a compaesani vibonesi: evviva l'apertura alle intelligenze mondiali), 85 «primariati junior» e 153 bollini d'«alta specializzazione» in coincidenza con le primarie del Pd e il consolidamento del Partito Democratico Meridionale di Loiero, capace di folgorare un uomo noto in città come il primario del 118 Antonio Talesa, prima con An. Nel Veneto divampano quelle sull'«arroganza» (parola del capogruppo leghista in Regione Franco Manzato) di Giancarlo Galan. Il quale è messo in croce da un paio di settimane dai suoi stessi alleati del centro-destra per le nomine dei direttori generali nelle Asl. «Poltrone per la Lega, una. Per An, zero. Per l'Udc, zero. Per i fedelissimi del presidente, tutte le altre», ha riassunto un giornale non sinistrorso come Libero. «Un sistema feudale», secondo Raffaele Zanon, di An. In pratica, accusa Stefano Biasioli, il segretario della Cimo, la più antica delle sigle sindacali dei medici ospedalieri, additata come vicina ai moderati, «Galan ha nominato 23 fedelissimi su 24 direttori. Tranne che a Bussolengo (lì ha dovuto cederne uno al sindaco di Verona Tosi) sono tutti suoi. Di Forza Italia...». Ma non diverse sono le accuse, a parti rovesciate, contro la gestione delle Asl «unioniste» toscane, umbre, emiliano-romagnole, «solo che lì il "partito" è così forte che se ne stanno tutti quieti e zitti», rincara Biasioli. Per non dire dei veleni intorno alla distribuzione di cariche nella sanità campana, cuore delle inchieste di oggi. O degli scontri interni alla destra per l'accaparramento dei posti in Sicilia, dove su tutti svetta l'Udc di Totò Cuffaro. Il quale non casualmente è un medico in una terra in cui i medici (compresi quelli legati alla mafia come Michele Navarra o più recentemente Giuseppe Guttadauro) hanno sempre pesato tantissimo. Quanto questo peso sia attuale si è visto, del resto, alle ultime comunali di Messina. Quando tra i candidati c'erano almeno 111 medici. In buona parte ospedalieri. Tra i quali, in particolare, una ventina del «Papardo», la più importante struttura peloritana: il primario di oculistica e quello del laboratorio analisi, il primario di medicina e quello di neurologia, il primario di pneumologia e quelli di chirurgia vascolare, cardiologia, rianimazione. Quasi tutti schierati con An. E indovinate a che partito apparteneva il direttore generale? Esatto: An. «Li hanno militarizzati tutti», accusò indignato Nunzio Romeo, il candidato del Mpa. Peccato che lui stesso fosse medico e presidente dell'Ordine dei Medici e guidasse a nome del medico Raffaele Lombardo una lista con 41 medici. Pietro Marrazzo, il governatore del Lazio, dice che basta, per quanto lo riguarda è ora di finirla: «Se vogliamo marcare una svolta di sistema io ci sto. Sono qui. Disposto a rinunciare già domani mattina alla facoltà di nominare i direttori generali». Ma quanti colleghi lo seguirebbero? E cosa direbbero i partiti che sostengono la sua giunta all'idea di rinunciare alla possibilità di incidere su un settore chiave come questo? E' una tentazione comune a tutti, accusa Carlo Lusenti, segretario dell'Anao: «Se non sempre, la politica mette il naso 9 volte su 10. Per carità, non c'è solo la politica. Ci sono le lobby universitarie, le cordate, i sindacati... Però...». «E' un'intrusione massiccia. Capillare», conferma Biasioli, presidente della Società ligure di chirurgia Edoardo Berti Riboli: «Nel nostro ambiente si procede soltanto grazie al partito. Fra destra o sinistra non faccio differenze. Hanno la stessa voracità, solo che la sinistra è molto più strutturata». Capita nell'«azzurra» Lombardia dove la stessa Padania scatenò due anni fa una campagna contro «lo strapotere di Comunione e Liberazione negli ospedali regionali». Arrivando a pubblicare un elenco di «primari ciellini» e un'indimenticabile lettera di Raffaele Pugliese. Lettera in cui il primario del Niguarda ricordava ai «suoi» pazienti quanto fosse fantastica la sanità lombarda. Quindi? «Mi permetto di suggerirLe di sostenere la rielezione dell'attuale presidente della giunta regionale Roberto Formigoni». E torniamo al tema: alcuni saranno bravi, altri geniali, altri straordinari. Ma perché dovremmo affidare la nostra pelle a un medico scelto per la tessera? E se il «mio» chirurgo fosse un fedelissimo trombone?

giovedì 17 gennaio 2008

GUARDATE QUESTO FILM

La pellicola narra gli eventi che avvengono "dietro le quinte" (e che rimangono spesso invisibili) in un'unica giornata per collegare i punti tra loro e rivelare come un ambizioso e potente politico che compie delle scelte rischiose a Washington, una giornalista televisiva che insegue una storia importante sotto grande pressione e due soldati coraggiosi spediti in una pericolosa missione segreta, sono tutti collegati ad un giovane in procinto di comprendere il vero potere della libertà, dell'impegno e dell'importanza delle proprie convinzioni.
La storia si svolge su tre fronti, ugualmente tesi ed emozionanti, ognuno presenta degli importanti ostacoli personali. In un ufficio del Congresso, il Senatore che aspira alla Presidenza Jasper Irving (Tom Cruise) sta per fornire una storia sensazionale su una nuova strategia bellica ad una giornalista televisiva che svolge delle ricerche (Meryl Streep): i due portano avanti un feroce gioco tra gatto e topo utilizzando arguzia, fascino e vari sotterfugi. Alla West Coast University, un professore un tempo idealista, il dottor Malley (Robert Redford) si confronta con uno studente capace e smaliziato (Andrew Garfield), che ha bisogno di una spinta perché rischia di non sfruttare tutto il suo enorme potenziale. Nel frattempo, dall'altra parte del mondo, nel cuore della battaglia in Afghanistan, due ex studenti di Malley, Arian (Derek Luke) ed Ernest (Michael Peña), vivono sulla propria pelle i dibattiti e i discorsi dei mentori e dei politici in un acceso combattimento per la sopravvivenza, con delle conseguenze strazianti che avranno ripercussioni sulle vite di tutti loro.

Riunione direzione nazionale Pd

Il Segretario regionale del Partito Democratico pugliese, Michele Emiliano, ha partecipato a Roma alla riunione della direzione nazionale del Pd, alla presenza del segretario Walter Veltroni e del vice segretario Dario Franceschini - clicca sulla foto per vedere il filmato della conferenza stampa -.
Dalla relazione introduttiva del numero due del partito è emerso che in tutto il territorio nazionale, con eccezione della Campania, entro la seconda settimana di febbraio, il Pd sarà operativo in ogni comune d’Italia. Nonostante questo enorme sforzo organizzativo, il partito non ha fatto mancare il suo sostegno al Governo e ha intensificato la sua azione nella promozione delle riforme istituzionali, con particolare riferimento a quella della legge elettorale.

Franceschini ha precisato che la collaborazione che si è aperta con Forza Italia su quest’ultimo tema costituisce esercizio di un’interlocuzione che nulla ha a che vedere con la quotidiana azione politica nella quale la contrapposizione rimane inalterata. Riscrivere le regole della convivenza democratica rende necessaria una condivisione della prospettiva anche con gli avversari. Il Pd ha, quindi, accettato la prospettiva proporzionale per uscire dal bipolarismo coatto che aveva bloccato la democrazia italiana, consentendo a piccole forze politiche e a pochi partiti parlamentari di influenzare le scelte di un intero paese. La negoziazione prevede un premio di maggioranza, non prevede, le preferenze, quanto piuttosto collegi uninominali, nei quali la scelta del singolo deputato è direttamente connessa all’esercizio de diritto di voto dei cittadini e prevede uno sbarramento la soglia del 5%.

Quanto all’attività politica del partito nei territori, entro gennaio verranno attivati i forum tematici coordinati da grandi personalità, non necessariamente militanti, al fine di costituire quest’ultima struttura del partito quale principale luogo dell’apertura alla società civile e più in generale a coloro che non hanno ancora aderito al Pd.

Sempre entro alla fine di gennaio andrà in linea il portale del partito che comprenderà una web tv e partirà una serie di iniziative politiche che gireranno per l’Italia con la compartecipazione organizzativa e finanziaria dei livelli regionali e provinciali. Di particolare interesse l’evento che si svolgerà a Palermo sul tema della criminalità organizzata, quello promosso da Ermete Realacci sui talenti italiani e così pure le iniziative per il trentennale della morte di Aldo Moro.

In Puglia il primo appuntamento sarà quello degli Stati generali che consentirà non solo di individuare la visione strategica del partito nei prossimi anni, ma anche un confronto serrato con i risultati e i limiti dell’azione amministrativa della Regione Puglia.

mercoledì 16 gennaio 2008

17 gennaio, Confererenza dei Capigruppo

Giovedì 17 gennaio alle ore 10,30, presso il Municipio, è stata convocata la conferenza dei capigruppo per discutere il seguente o.d.g. in vista del prossimo consiglio comunale:
1) Pianificazione Edilizia Scolastica;
2) Modifica alla delibera del Consiglio Comunale n. 53 del 6/11/2003 - "somministrazione abbinata all'attività di macelleria";
3) Supermercato Edileco srl - rigetto;
4) Approvazione regolamento referendum consultivo comunale;
5) Cambio denominazione scuola materna da "Collodi" a " Gli Angeli di San Giuliano".

PD Puglia, insediate le commissioni

Lunedì 14 gennaio 2008, dopo l’introduzione del Presidente regionale del Partito Democratico, Loredana Capone -nella foto-, si sono riunite i componenti delle tre commissioni del PD: Statuto, etica e idee. All’affollatissima riunione di insediamento, oltre ai costituenti regionali e alla presidente del partito, Loredana Capone, hanno partecipato il coordinatore del processo costituente, Fabiano Amati, il vicesegretario Michele Mazzarano, nonché molti componenti della Costituente nazionale.

Nello specifico la Commissione "Statuto" dovrà contribuire alla stesura dell'impianto federale dello Statuto nazionale e predisporre una proposta di Statuto regionale, la commissione "Manifesto delle idee”; redigerà una proposta di documento programmatico del Partito Democratico pugliese, mentre la commissione "Codice etico" sarà volta a definire l'universo valoriale di riferimento dei militanti del PD.

L'insediamento delle commissioni, che svolgeranno il loro compito attraverso un confronto aperto e approfondito, costituisce un'ulteriore tappa verso la costituzione del PD pugliese. Nelle sei province pugliesi sono state infatti già fissate le date e le regole per lo svolgimento delle prossime assemblee che condurranno alla nascita dei circoli del PD in ogni comune per l'effettivo radicamento del partito nel territorio. Sono state inoltre lanciate delle grandi iniziative politiche, tra cui quella relativa alla consegna dei certificati di socio fondatore del PD agli elettori alle primarie del 14 ottobre e sono stati previsti dei forum che consentano la più ampia partecipazione possibile dei cittadini e che rappresentino dei momenti di confronto e di dibattito su temi politici ma soprattutto su temi locali di grande interesse per i cittadini, in particolare per i giovani.

Nella commissione “Manifesto delle Idee”, si è svolto un approfondito dibattito per capire quale compito svolgere e in che modo. La mia impressione è che finalmente oltre a parlare di contenitori (organizzazione e incarichi) finalmente si è iniziati a parlare di contenuti. Cercherò di informare e coinvolgere tutti i lettori del nostro blog e gli aderenti del partito democratico di Laterza sui lavori della commissione e sulle diverse posizioni che emergeranno. Martedì 22 gennaio 2008, presso la saletta del gruppo regionale del Pd, alle ore 16 è convocata la seconda riunione della commissione.

Franco Catapano

martedì 15 gennaio 2008

EMILIANO A TARANTO

PER IL FUTURO DI TARANTO


Mercoledì 16 gennaio 2008 ore 17.30
Salone Provincia via Anfiteatro Taranto


ASSEMBLEA PUBBLICA

partecipano:

Michele MAZZARANO

e

Michele EMILIANO