venerdì 6 giugno 2008

Un’azienda fuggitiva, una politica fiacca, un sindacato sciatto, il grido d’aiuto alla stampa

Tre crisi in una. E una soluzione, ecclesiastica ed economica.Un’azienda si riconverte e se ne fugge: da produttiva diventa commerciale. La politica, di destra e sinistra, dopo essere stata sollecita a stendere tappeti rossi a questa azienda per farla insediare a Ginosa e Castellaneta, ora sa solo dare solidarietà ai lavoratori che vedono svanire la loro fonte di reddito. Il sindacato, anch’esso, si è fatto “altro” dai lavoratori: tratta con l’azienda a loro insaputa e porge loro carte e bla-bla per il “signorsì”. La Miroglio, dopo aver “filato” e “tessuto” stoffe e aver rifornito “marchi” di confezioni sparsi in tutt’Italia, scopre che altrove “si fila, si tesse e si confeziona” a costi molto minori, chiude i suoi capannoni italiani e si fa venditrice, dicono, a prezzi italiani, ma con i costi terzomondisti, cioè a profitti altissimi. Scopo dell’azienda è il profitto, dicono gli economisti di ultima generazione, quelli che sanno solo fare addizioni e sottrazioni: più alti sono i profitti, più plausi merita l’azienda. Invece, gli economisti che sapevano di filosofia, quelli per i quali economia è “gestione di una casa”, dicevano che un’azienda è parte della comunità nella quale opera: nella e per la comunità essa è nata, da essa ha tratto alimento, con essa ha fatto fortuna, con essa deve diversificarsi. L’azienda che se ne va ad inseguir quattrini facili, non solo non è figlia degli imprenditori-demiurghi schumpeteriani, ma fa solo pirateria, una qual violenza fomite d’altra violenza. Tal specie di azienda, infatti, imposta i suoi profitti non nell’innovazione tecnologica, o nell’invenzione di altri prodotti, o nella conquista di altri mercati, ma “torcendo” il fattore di produzione più debole, il costo del lavoro, quando la domanda è mondiale e perciò altissima, quindi di bassissimo costo. Tali profitti son solo il dato di sfruttamento del lavoro: in Italia o nelle lande del terzo mondo è la stessa cosa.A conferma che un’economia rapace è un’economia di crisi, si ha una politica parolaia, cioè una politica di crisi. All’azienda che sa fare solo addizioni e sottrazioni, corrisponde una politica innocua, o talmente ridotta, che non sa pretendere servigi da coloro ai quali servigi ha reso.Per far venire dal Nord questi filatori e tessitori la Regione Puglia ha fatto un’apposita legge, agevolazioni urbanistiche, fiscali, produttive. Ora che questa se ne va, destra e sinistra, non sanno far altro che mostrarsi con “una “lacrima sul viso”, non una di più. Ma tant’è, destra e sinistra hanno entrambe soppresso la parola “sociale”, che era la loro ragion d’essere. Un consigliere regionale s’è scaldato alla fiamma del Movimento “sociale”, un altro s’è nutrito di emancipazione degli operai con la dignità sul lavoro e nel salario. Ora, i ginosini Pietro Lospinuso e Paolo Costantino, scrivono quasi lo stesso documento di “vicinanza” agli operai; ma non di vicinanza ha bisogno chi sta perdendo il proprio lavoro, dove altro lavoro non c’è, ma di invenzioni, di soluzioni, di idee sostenute dalla forza dell’autorità e della società.
Ad alimentare la fiacchezza della politica non poteva mancare la sciattezza del sindacato, che tratta gli operai come minorati.
Chi, richiesto del perché non si sottoponga al rinnovo della rappresentanza, risponde: “Perché noi siamo il male minore”. Tale risposta, anche se scherzo di pessimo gusto, per diluire la gravità delle parole, è “una voce dal sen fuggita”. Se tanta prosopopea sta nelle Rsu, più su quanta ce n’è? Quindi, non è un caso che gli operai lancino dalle pagine del “Corriere”, sulla stampa, il loro grido d’aiuto; invece di rivolgersi ai partiti o ai sindacati, ormai senza più credibilità: ma chi ha perduto la credibilità ha già perduto la propria dignità.
Se nessuno può trattenere con la forza gli imprenditori che se ne vanno in lidi più lucrosi, chi salverà il lavoro di 238 persone? Sanno fare un prodotto, hanno un mercato, non hanno i soldi per ricominciare. Però, se la Regione Puglia offrì 10 milioni all’azienda perché restasse altri 5 anni a lavorare a Ginosa, perché con quella somma non sostenere un’idea per salvare l’azienda di Ginosa e magari anche quella di Castellaneta?
Molti sono i modi per salvare un’azienda e la sua quota di lavoro: alcuni vetusti, come la oweniana Lanark o l’Iri d’epoca e “visto” mussoliniani; altri, però, sono ancora da sperimentare e perfezionare, come la “Partecipazione operaia” di Pio XII e di Amintore Fanfani, un mix di economia e socialità, la quale dovrebbe incontrare l’entusiasmo dei politici italiani pieni di atei devoti e credenti obbedienti. Ma la politica italiana, conosce la sua storia?»
da Corriere del Giorno di Michele Cristella

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