lunedì 9 giugno 2008

L'Italia è un Paese molto malato - Del rapporto fra "politica" e legalità

Versione stampabile
di Felice Lima(Giudice del Tribunale di Catania)
Dopo l’aggressione in Parlamento a insulti per i singoli magistrati e per la magistratura tutta e applausi per gli inquisiti, ora la linea di attacco alla giustizia da parte di gran parte della politica che, misteriosamente (ma non tanto) ha un irrefrenabile desiderio di far sapere agli inquisiti tutta la sua solidarietà, consiste nel dire che i fatti addebitati ai coniugi Mastella e ai loro parenti e amici non costituirebbero reato, ma sarebbero “politica”.Gli atti del procedimento penale non sono noti (un blog ha pubblicato i capi di imputazione tratti dalla misura cautelare) e in un Paese che voglia almeno sperare di sembrare civile l’unica sede deputata a decidere se una tal cosa sia o no reato e se Tizio e Caio l’abbiano o no commesso è il processo.Dunque, non intendo prendere alcuna posizione innocentista o colpevolista con riferimento agli indagati e mi permetto di invitare tutti a rispettare questa cosa civile che è il processo come sede di esercizio della giurisdizione, senza di che c’è solo una qualche forma di totalitarismo (oligarchico o di massa).Ciò che, però, mi sembra si debba osservare e farne oggetto di riflessione è come la malattia della nostra società e della sua politica sia divenuta così tanto grave da non essere più neppure percepita come malattia.Il malato ha perso la “coscienza di malattia”, che è il primo requisito per difendersi dalla malattia medesima.Ciò che hanno detto tanti in difesa dei coniugi Mastella è: “ma procurare posti ai vertici di enti pubblici per gli adepti del proprio partito non è reato, è semplicemente «politica»”.Questo ovviamente non è vero per niente.Stabilisce precettivamente l’art. 97 della Costituzione che «i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge».E tante leggi amministrative e penali dovrebbero presidiare questi principi.E’ vero che una osservazione di comune esperienza è che tutti gli uffici pubblici di un qualche rilievo sono effettivamente lottizzati dai partiti politici, sicché spesso anche i primari degli ospedali sono scelti secondo l’appartenenza partitica e, dunque, non secondo i criteri di cui all’art. 97 della Costituzione.Ma questo non sta bene ed è criminale. In molti casi integra specifiche fattispecie di reato.E’ come la raccomandazione.Si sa che l’Italia è un Paese dove la raccomandazione è molto praticata.Ma il fatto che sia molto praticata non toglie che sia reato.Se il componente di una commissione di esami – qualunque sia: un concorso universitario, un concorso per l’abilitazione professionale, un concorso per un posto pubblico, ecc. – promuove una persona non perché se lo merita, ma perché gli è stata “segnalata”, questo è puramente e semplicemente un reato.Peraltro, e tanti sembrano non riuscire a capire questa cosa elementare, quando assumi quello che ti è stato “segnalato” e non quello che “se lo merita”, non soltanto favorisci un delinquente; contemporaneamente danneggi una persona capace e – peggio ancora – l’intero Paese, che sprofonda, infatti, nell’incompetenza diffusa e nell’inadeguatezza della sua classe dirigente.Quindi, mi ha fatto una certa impressione sentire oggi tante persone che ricoprono cariche politiche importanti dire che non ci sarebbe nulla di illegale nel fatto che persone potenti in un partito facciano “carte false” per piazzare primari, dirigenti di aziende pubbliche e simili a questo o a quel posto.E’ molto grave che di questi reati nel nostro Paese se ne commettano a quintalate, ma ancora più grave mi sembra che ormai si sia arrivati a un punto nel quale non ci si rende neppure più conto che sono reati. Mi sconvolge davvero l’apparente “buona fede” (a mio parere solo apparente) di tanti aggressori dei giudici di questi giorni.A me pare, anzi, che proprio questa sia la malattia della quale stiamo morendo. Una incapacità ormai cronica di distinguere i fatti leciti dagli illeciti e, soprattutto, di percepire che una società complessa per sopravvivere ha bisogno di rispettare certi “schemi” formali.Il collega Roberto Scarpinato, intervenendo a Palermo il 18 luglio 2007 a un convegno “In memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, 15 anni dopo la strage di via D'Amelio”, dal titolo “La Cosa Nostra politica: dalle origini al sistema Provenzano”, che si può rivedere in audio e video su Radio Radicale cliccando accanto al nome del collega, ha detto che, purtroppo, ormai «la corruzione fa parte della costituzione materiale del nostro Paese» e ha illustrato molto bene il fondamento di questo giudizio, che io mi trovo a dover condividere.Questo, a mio modesto parere, è il problema.Finora, la stragrande maggioranza della classe dirigente di questo Paese (e nella “classe dirigente” comprendo oltre ai politici anche tutti coloro che, in ruoli molto diversi, hanno la responsabilità delle strutture pubbliche) ha seguito due linee guida: da un lato sopravvivere e fare strada nel sistema, dandogli, dunque, alimento e vita e, per altro verso, nascondere a sé e agli altri le conseguenze che queste condotte avevano sulla “tenuta” dell’intero “sistema”.Oggi il “sistema Paese” (come si usa dire) è alle corde.Appare evidente che non sopravviverà a questo andazzo.Il bivio dinanzi al quale siamo impone di scegliere fra riconoscere la malattia e disporsi a pagare i prezzi inevitabili per una “marcia indietro” e il lento ma concreto recupero di una parvenza di legalità oppure la definitiva distruzione degli ultimi modesti e inefficaci strumenti di controllo della legalità.La seconda delle due opzioni equivarrebbe alla scelta di un malato che, sentendosi diagnosticare dai medici la malattia, li butti tutti fuori di casa e distrugga tutti i termometri. Quindi, quando nulla e nessuno certifica più la sua malattia, sentenzi sorridente: “Vedete, non sono malato”.In questa direzione vanno con evidenza le richieste di quei molti deputati che ieri hanno invocato addirittura un decreto legge che vieti le intercettazioni telefoniche.Il loro schema logico è: le intercettazioni fanno scoprire i reati, eliminiamo le intercettazioni.Nessuno ipotizza che la soluzione possa essere smettere di commettere i reati, piuttosto che impedirne l’accertamento.Spiace doverlo dire, ma l’intera vita pubblica del nostro Paese si svolge dentro una enorme colossale e costante menzogna.Tutto è falso. I discorsi dei politici, le motivazioni degli atti amministrativi, i voti nelle assemblee e nei concorsi, i rapporti fra le persone, le alleanze, tutto.Si finge di affermare dei valori, si promulgano delle leggi, ma ciò che davvero si fa è del tutto diverso da ciò che si dice.Le leggi sono "ad personam" o "ad partitum"; i discorsi "di circostanza"; le alleanze "di comodo"; gli impegni "non vincolanti".Ma una società non può vivere costantemente nella menzogna.Qualcuno ha detto: “si può mentire a qualcuno per sempre, a tutti per un certo tempo, ma non a tutti per sempre”.Dicevo che è in discussione la stessa sopravvivenza degli ultimi presìdi di legalità.Ma non si deve dimenticare che in una società “sana” i presìdi di legalità sono molti e diffusi.In Italia, invece, è rimasto un solo presidio di legalità: la magistratura.E questo è un male grande, perché è grandemente patologico che una società sia prevalentemente illegale e impegni nella difesa della legalità solo i giudici.Le leggi prevedono molti tipi di controllo di legalità e molti altri li esigono la cultura, la sociologia, la storia.Noi li abbiamo azzerati tutti. Ormai i certificati medici per assentarsi dal lavoro si chiedono per telefono e si ritirano in portineria; i bilanci societari sono falsi con il permesso esplicito della legge; le dichiarazioni dei redditi anche; i collaudi delle opere pubbliche sono "pro forma"; le approvazioni delle note spese scontate; gli straordinari al lavoro "autocertificati".Poi abbiamo azzerato anche la giustizia, che non funziona più per niente e non funziona più non per caso, ma per una precisa scelta dei centri di potere – politico ed economico – del Paese, che hanno reso via via sempre più inefficiente la giustizia per non essere soggetti al suo controllo.Ogni volta che un potente è finito nelle maglie della giustizia, "la casta" ha fatto una legge che rendesse impossibile che una cosa simile accadesse di nuovo. Oggi tocca alle intercettazioni di dovere essere eliminare dal codice.Adesso, dinanzi allo sfascio della giustizia che fa sì che l’illegalità di ogni genere dilaghi, il potere politico percorre – con molte leggi già in vigore – il cosiddetto “doppio binario”, che dà luogo a una giustizia debole con i forti e forte con i deboli (sul punto rinvio alla bella intervista di Bruno Tinti pubblicata in questo blog con il titolo “Una giustizia forte con i deboli e debole con i forti”)Ma se questa linea non viene fermata e non si ritorna indietro, avremo un Paese nel quale la classe dirigente è profondamente corrotta e la corruzione prospera e dilaga ovunque, e i soggetti più deboli, quelli che, non avendo potere, non possono difendere da se i propri diritti, non hanno nessun giudice dinanzi al quale ottenerne tutela, restando così emarginati, mentre le carceri si riempono di emarginati vecchi e nuovi.Insomma, una situazione ben nota alla storia, che un tempo si sarebbe definita come “sudamericana”. In ogni caso lontanissima dal sogno falso di un Paese moderno usato dai potenti per comprare voti e ottenere consenso.Intanto oggi abbiamo sentito il Ministro Mastella dire che questa vicenda ha interrotto il suo sogno consistente nell'essere Ministro della Giustizia.Testualmente: "Quando arriverà la sentenza di proscioglimento chi mi ripagherà del sogno di essere ministro della Repubblica?" (Reuters).Ma in un Paese normale essere Ministro non è un "sogno", ma un "servizio".In un Paese normale le persone bisognerebbe pregarle di assumere cariche che sono "oneri", invece di doverle indurre a lasciarle perchè le trattano come "onori".In un Paese normale non ci sono più di cento fra Ministri e Sottosgretari, perchè "era necessario accontentare tutti".Davvero oggi non è per nulla in discussione il futuro della magistratura, ma quello del Paese.Ogni tentativo di raccontare quello che sta accadendo come una contrapposizione fra politica a magistratura è una mistificazione autenticamente criminale.

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