C’è stata una discussione viva, dura e spesso anche contraddittoria in cui, nell’arco di due serate, si sono succeduti oltre 30 interventi.
Se da un lato molti di questi andavano nella direzione di analizzare seriamente il risultato elettorale, altri hanno registrato soltanto la volontà di continuare a guardare al voto del 13 e 14 Aprile con lo spirito di chi cerca delle conferme alle opinioni che aveva prima.
Il dato che sembra però emergere da tutte le parti è la fragilità del risultato del Pd, specie in raffronto con la base effettiva dei consensi presi solo due anni fa dall'Ulivo, con l’aggravante che, qui nel tarantino, ci troviamo oggi in una realtà territoriale in cui siamo forza di governo alla Regione e alla Provincia ed anche il Comune capoluogo è amministrato dal centro-sinistra. Inoltre è da sottolineare che a Taranto il centro-destra ha condotto il Comune ad un dissesto finanziario di dimensioni eclatanti. Ebbene in questa situazione che sembrerebbe estremamente favorevole per noi, non si va oltre il 33% del dato nazionale che, come ormai sappiamo, si fonda in parte su un afflusso di consensi indotti dal meccanismo del "voto utile" e che quindi andrebbe drenato ulteriormente dei voti dalla Sinistra arcobaleno (va ricordato che siede tra i banchi della maggioranza nel Comune di Taranto). Nonostante tutto questo però non bisogna drammatizzare, quello che servirebbe è, piuttosto, la capacità di distinguere tra i segnali positivi che sono venuti e le difficoltà che adesso vanno affrontate. Se ci si dovesse esimere da questa incombenza si rischierebbe di affossare definitivamente quello che sembrava un grande progetto. E nessuno di noi, davvero nessuno, può assumersi questa responsabilità.
La prima questione è l'agibilità democratica del nostro nuovo Partito.
Il 13 e 14 aprile abbiamo perso le elezioni e riconsegnato il Paese, per la terza volta, al centro-destra. Da allora sono stati convocati solo una volta, a Milano, i segretari regionali e non più di due o tre volte il presunto "caminetto". Anche a Taranto non siamo riusciti a resistere al fascino di procrastinare la data del confronto rinviando più volte le direzioni fino a l’altro ieri sera; l’attesa è sembrata ancor più vana quando, invece di ascoltare una seria analisi del voto, le conclusioni del Segretario Provinciale hanno prospettato il futuro scenario del nostro partito liquidando con troppa scioltezza quella che appariva una situazione intricata e oltremodo spinosa. La cosa più strana non è però che il nostro Deus ex machina abbia pensato bene di chiudere andando ad indicare una soluzione che non presti il dovuto riguardo alla logica interna delle vicende stesse e per questo poco credibile ma che, in un momento in cui la logica vorrebbe una profonda autocritica ed un’apertura più democratica verso la base, si sia preso la briga di indicare in maniera autonoma e secondo metodi di cencelliana memoria una organizzazione di partito sottolineando, a chi gli faceva notare la mancata condivisione del metodo e del merito, le prerogative personali di quelle scelte.
Detto ciò bisognerebbe ragionare con più attenzione sul “dopo”. Su cosa sia ragionevole fare adesso del nostro Partito; Partito, va ricordato per inciso, che del rifiuto delle correnti e della loro logica ha fatto un baluardo all'atto della sua fondazione, avvenuto poco meno di un anno fa.
Bisognerebbe adesso interrogarsi su quanto sia ragionevole, dopo un risultato elettorale come quello dello scorso Aprile, prendere delle decisioni in maniera non condivisa, quando tutti si è concordi nel testimoniare una sconfitta venuta anche perché non si è “riusciti” a condividere le scelte delle candidature, e quanto sia lungimirante continuare a seguire queste logiche. Adesso che siamo emancipati dai tempi contingentati bisognerebbe puntare, prima di mettersi a lavorare per tornare o per continuare ad essere Partito di governo, a discutere e ponderare le decisioni condividendole, parlando di metodo e di merito. Di tutto questo, purtroppo, non si è sentito nulla nelle parole del Segretario Provinciale che forse più umilmente, dopo un risultato del genere, avrebbe dovuto intravedere la necessità di un confronto politico tra tutti i circoli o, almeno, avrebbe dovuto sentite di legare la nomina di un esecutivo ad una, seppur minima, dichiarazione di metodo. A tutto questo, invece, nemmeno un cenno; all’assemblea, o meglio a quel poco che ne restava, rimane, oltre al supponente epilogo di accettare prima e di ratificare dopo, una decisione che appare se non altro incomprensibile. Come non condividere la posizione dei tanti che hanno abbandonando l’aula trasformando quella votazione in farsa e, soprattutto, il coraggio di chi è rimasto e astenendosi si è guardato bene dal rendersi compartecipe di tali decisione?
Non resta che un'amarezza di fondo e una difficoltà nel comprendere alcune scelte: abbiamo perso le elezioni e in cambio, ci si concede di poter assentire, senza diritto di replica, alla decisione della Segreteria Provinciale di costituire un organo esecutivo che ha per primo obiettivo dichiarato quello di indicare, nella persona di Florido, il prossimo candidato alla Presidenza della Provincia senza un solo momento di discussione politica e senza aver sentito una parola da parte di coloro che, democraticamente, hanno scelto di far parte di questo Partito. Adesso bisognerebbe interrogarsi sulla ragionevolezza di questo metodo. Se è questo il modo di prendere le decisioni del PD. Sicuramente non è quello che era stato prospettato nel momento in cui si chiedeva alla gente di aderire al progetto del Partito Democratico. In queste settimane si sono sentite parole sagge circa il bisogno di valorizzare quanto di buono sia venuto dal voto: il consenso raccolto dal Pd, il coraggio di alcune discontinuità, la scelta di proseguire sulla via dell'innovazione, la necessità di costruire e radicare il Partito nei territori. Ma il primo passo da compiere per rafforzare e radicare questo Partito è dargli forma e un assetto accessibile a tutti. Metterlo nella condizione di ragionare, confrontarsi, discutere. Oltre i caminetti e i circoli ristretti la prima condizione per rafforzare e radicare il Pd sia quella di rendere agibile e accessibile la sua vita democratica. Per questo non si può pensare, che pochi illuminati, possano sbrogliare tutti i nodi di fondo (strategia, identità, cultura politica, assetti...) e rinviare a dopo la fase della riflessione sul Paese. La sfida adesso è quella di costruire in maniera condivisa il Partito che tutti quanti abbiamo auspicato; facendo scelte partecipate, aprendosi alle istanze della base, ascoltando i problemi della gente. Se questo non avverrà avremo perso l’opportunità di recepire quanto si chiedeva alle nuove classi dirigenti. Bisogna avere, ancora una volta il coraggio di crederci, pretendendo che il gruppo dirigente del Pd imposti su basi più solide e democratiche l'edificazione di una grande forza riformista che sia capace di costruire, senza scorciatoie, le condizioni sociali e politiche per l’accessibilità di tutti, e va sottolineato di tutti, alla partecipazione.
IL PRESENTE DOCUMENTO E’ STATO DISCUSSO DAL DIRETTIVO DEL CIRCOLO TERRITORIALE DI PALAGIANO VOTATO E CONDIVISO DALLA MAGGIORANZA IL 21/05/08
Il COORDINAMENTO CITTADINO DI PALAGIANO
2 commenti:
Il potere, solo il potere, e la sua conquista è ciò che interessa. Florido vuole la ricandidatura per non uscire di scena, Pelillo l'assessorato per continuare a rimanere consigliere regionale, il Pd cittadino l'accordo con Stefano per entrare nella giunta di Taranto. Il contorno è fatto di dirigenti senza mestiere che vivono di politica, storie di miserie umane e di piccoli espedienti che tentano di sbarcare il lunario ....
Mi appello a tutte le menti libere affinchè ci si metta insieme per smontare il castello di sabbia dei maggiorenti del Pd Jonico.
E, di monsignore in monsignore, di copertura in copertura, si arriva anche a Como. Inevitabile, dopo i fatti di questi giorni.
La storia, si capisce, è sempre la stessa. Trovo perfino stancante ripeterla: copione trito e ritrito, recitato mille volte da migliaia di attori diversi. Un sacerdote accusato di abusi sessuali, un vescovo che lo sposta e lo copre. I fatti (gli arrangiamenti ogni volta un poco diversi di una musica che resta sempre la stessa) sono noti: don Mauro Stefanoni, sacerdote di Laglio, fu accusato di abusi sessuali su un ragazzino di 14 anni, per giunta con un problema di difficoltà cognitive. L'allora vescovo di Como, Alessandro Maggiolini, lo spostò da Laglio a Colico, avvisandolo, tra l'altro, di una indagine della magistratura a suo carico.
Quello che si sta svolgendo in aula, in questi giorni, è un dibattimento difficile e poco chiaro, in cui la vicenda degli abusi sessuali si mescola ad altre vicende relative sia alla gestione della parrocchia che a questioni di soldi.
Dalle indagini in canonica sono emersi alcuni elementi: in possesso di don Mauro sono state trovate alcune videocassette contenenti materiale pornografico; tra settembre 2003 e agosto 2004 ben 19 film sono stati acquistati con smart card residenziale dall'utenza Sky della parrocchia, parte di quei film erano a carattere omosessuale; sui 4 computer sequestrati a don Mauro sono stati rinvenuti almeno un centinaio di collegamenti a siti e chat omosessuali; in 53 giorni di intercettazioni risultano 2.800 chiamate (tra quelle effettuate e quelle ricevute), e di queste 2300 sono state fatte all'utenza di un suo amico (la cui fidanzata e i cui familiari, tra l'altro, si opponevano alla frequentazione del sacerdote).
Don Mauro prende le distanze: le videocassette gli sono state regalate da un parrocchiano, lui non le aveva mai neppure guardate; dei film acquistati su Sky e dei collegamenti a siti omosessuali non sa nulla, la sua casa e la canonica sono frequentate da tanti parrocchiani, da amici e da conoscenti, chiunque avrebbe potuto acquistare i film o collegarsi a internet; le telefonate sono la testimonianza di una fraterna amicizia.
Personalmente, trovo incredibili certe affermazioni. Se ricevo in dono una cesta di videocassette, trovo naturale dare un'occhiata almeno ai titoli dei film, prima di metterli via: possibile che don Mauro non sia stato un tantino curioso? Inoltre, molti collegamenti a siti e chat gay, così come l'acquisto dei film su Sky, risultano effettuati a tarda sera, intorno o dopo la mezzanotte: Laglio è un paesino di meno di mille anime, possibile che i parrocchiani siano ancora in canonica, o anche solo in giro, a quell'ora? E poi, per quale ragione la fidanzata e la famiglia del "fraterno amico" si opponevano alla frequentazione del sacerdote, al punto che dovevano incontrarsi di nascosto?
All'accusa di abusi sessuali si mescola una vicenda di soldi, donati dalla famiglia della vittima per il restauto dell'abside e utilizzati da don Mauro per altri fini: 25.000 euro, ai quali il sacerdote aveva chiesto di aggiungerne almeno altri 10.000, per coprire l'intero costo dei lavori.
La procedura seguita dal vescovo è stata quella di sempre: ha chiamato il sacerdote, gli ha chiesto spiegazioni riguardo a quanto gli era giunto all'orecchio, si è fidato dei dinieghi del prete, lo ha trasferito ad un'altra parrocchia. Non ha mai ascoltato o incontrato il ragazzo che accusa don Mauro. Non lo conosce neppure, e lo dice ai giornalisti quasi con orgoglio. Con il suo sacerdote, invece, si è comportato "da papà", come dice lui stesso.
Evidentemente, per certi vescovi, i figli di Dio non sono tutti uguali. Però, quando si avverte uno di questi "figli" di un'indagine della magistratura a suo carico, poi non ci si deve indignare se si viene indagati per favoreggiamento...
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