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Scatta l'«autovalutazione» e l'84% si dà del «bravo». Così si calcolano premi e incentivi
«Anch'io disprezzo i fannulloni. Ma se c'è un fannullone è chi dirige male o non c'è proprio a dirigere». Parola di Raffaele Bonanni. Ma forse, quando ha sferrato l'attacco ai dirigenti pubblici, il segretario della Cisl non aveva ancora letto l'ultimo bollettino dell'Aran, l'agenzia governativa per i contratti del pubblico impiego.
Perché se l'avesse fatto avrebbe scoperto che l'84% dei dirigenti dell'Agenzia delle entrate valuta se stesso «più che adeguato» all'impresa, se non addirittura «eccellente» in relazione al raggiungimento degli obiettivi. E quelli che restano? Quelli si considerano almeno «adeguati». Insomma, non ce n'è nemmeno uno che si reputi davvero scarso. Ma se vi chiedessero «datti un voto», sapendo che dal giudizio che vi date potrebbe dipendere un aumento di stipendio, oppure un progresso di carriera, rispondereste qualcosa di diverso? Eppure, incurante di autorevoli studi americani che dimostrano come l'«autovalutazione» porti inevitabilmente a sopravvalutarsi, l'Agenzia delle entrate ha pensato di fondare il proprio sistema di misurazione del merito dei dirigenti proprio su questo principio. E il responsabile dell'organizzazione, Marco Annecker, ha impiegato undici pagine fitte del bollettino Aran per spiegare perché, presentando i primi risultati del nuovo sistema introdotto nel 2006. La sua relazione comincia con la citazione della famosa frase che campeggia sul tempio di Apollo a Delfi: «Conosci te stesso ». Chiaro, no? Più oscuro, invece, è il motivo per cui il sistema di valutazione dei dirigenti sia stato battezzato con il nome di una stella, S.I.R.I.O: «Sistema Integrato di Risultati, Indicatori e Obiettivi». Anche perché Sirio è la stella «del cane». Ma non è la prima volta che i creativi delle Entrate si applicano nella ricerca di improbabili acronimi. Sapete come si chiama la banca dati dell'Anagrafe tributaria? Serpico, proprio come il famoso detective anticorruzione americano. Dove però «Ser.P.I.Co» sta per «Servizio Per le Informazioni sui contribuenti ».
Complimenti. Ma c'è anche il R.A.D.A.R.: Ricerche e Analisi Decisionale per l'Accertamento del Reddito. Inseguendo Sirio, i 1.352 dirigenti scoprono da sé quanto sono bravi attraverso un complicato percorso di «autovalutazione strutturata» costruito con un software raffinato. Che dovrebbe mettere al riparo anche da eccessi di autostima. Già, ma come? Dice la relazione: «Quanto alla possibile obiezione che i racconti degli interessati potrebbero non rispondere a verità... più che mai può qui valere il detto secondo il quale "le bugie hanno le gambe corte"». Del resto, «se è giusto che il valutato pretenda oggettività dai valutatori, anch'egli deve per primo seriamente impegnarsi in un'analisi obiettiva». Insomma, fanno a fidarsi. Ma fino a un certo punto. Perché il dirigente superiore, che evidentemente non ha l'anello al naso, provvede a ridimensionare i giudizi palesemente esagerati, senza sorpresa e senza danno per l'interessato. Il quale, male che vada, si vede «retrocesso» da «eccellente » al grado di «più che adeguato ». Correzione che fa scendere il numero delle presunte eccellenze dal 40% a meno del 10%. Circostanza della quale l'Agenzia delle entrate sembra addirittura rammaricarsi, dato che l'obiettivo di S.I.R.I.O. è «la condivisione dei giudizi... vale a dire la sintonia fra come io valuto me stesso e come l'altro valuta me». Ma anche le amministrazioni che non si sono imbarcate in progetti altrettanto «stellari» (e probabilmente costosi) di valutazione, non rinunciano al giudizio fai da te. Al ministero dell'Economia, per esempio, i dirigenti di seconda fascia compilano ogni anno un questionario sui «comportamenti organizzativi» con relativo «punteggio conseguito».
Punteggio, per inciso, che si danno da soli. A fianco della loro autovalutazione c'è una colonna riservata al dirigente generale che può confermare o meno i voti che i loro sottoposti si sono attribuiti. Quanti pensate che siano i bocciati? Nessuno. Anche perché salterebbero i premi collegati. D'altra parte, se su 3.769 alti dirigenti dello Stato, non ce n'è uno che abbia avuto un giudizio mediocre, una ragione ci deve pure essere. L'economista Nicola Rossi ha raccontato domenica sul Corriere che al ministero dello Sviluppo, se ogni funzionario può essere valutato da un minimo di 3 a un massimo di 9, c'è un accordo sindacale che prevede che la media dei voti non possa essere inferiore al 6. Per non parlare della Regione Siciliana dove, secondo la Corte dei Conti, dal 2001 al 2006 tutti i 2.196 dirigenti hanno avuto in busta paga trattamenti economici di posizione pari al massimo. Possibile? Possibile. Perché in Sicilia l'«autovalutazione» è in vigore da sette anni. Anzi, sono stati loro i precursori di quello che hanno chiamato più pietosamente «autoreferto». Tecnicamente, la diagnosi della malattia effettuata dallo stesso malato. Ma il merito? Quello resta in subordine. E qualche volta ci rimane, in subordine, anche se per salire un gradino si deve fare un esame. Prendiamo il caso di Franca Caruso, dipendente del ministero dell'Economia a Catanzaro già inquadrata nella carriera direttiva, grado C1. Un bel giorno la signora decide di partecipare al concorso interno per due posizioni di livello C3. Con lei partecipano due colleghi di grado superiore C2. Ma la signora Caruso li batte entrambi e vince il concorso. Direte: le avranno srotolato il tappeto rosso e dato pure un bell'aumento di stipendio. Macché. Subito si fa un accordo sindacale, firmato dall'allora direttore generale del Tesoro Giancarlo Del Bufalo, con il quale si stabilisce che per accedere al livello C3 bisogna necessariamente passare dal grado C2. La graduatoria viene quindi rovesciata, e la signora Caruso, da prima che era, si ritrova terza. E oltre al danno, pure la beffa di vedersi offrire il posto C2 di uno dei due che aveva sonoramente battuto al concorso. Adesso sono alle carte bollate. E chissà se con l'autovalutazione sarebbe andata in maniera diversa.
«Anch'io disprezzo i fannulloni. Ma se c'è un fannullone è chi dirige male o non c'è proprio a dirigere». Parola di Raffaele Bonanni. Ma forse, quando ha sferrato l'attacco ai dirigenti pubblici, il segretario della Cisl non aveva ancora letto l'ultimo bollettino dell'Aran, l'agenzia governativa per i contratti del pubblico impiego.
Perché se l'avesse fatto avrebbe scoperto che l'84% dei dirigenti dell'Agenzia delle entrate valuta se stesso «più che adeguato» all'impresa, se non addirittura «eccellente» in relazione al raggiungimento degli obiettivi. E quelli che restano? Quelli si considerano almeno «adeguati». Insomma, non ce n'è nemmeno uno che si reputi davvero scarso. Ma se vi chiedessero «datti un voto», sapendo che dal giudizio che vi date potrebbe dipendere un aumento di stipendio, oppure un progresso di carriera, rispondereste qualcosa di diverso? Eppure, incurante di autorevoli studi americani che dimostrano come l'«autovalutazione» porti inevitabilmente a sopravvalutarsi, l'Agenzia delle entrate ha pensato di fondare il proprio sistema di misurazione del merito dei dirigenti proprio su questo principio. E il responsabile dell'organizzazione, Marco Annecker, ha impiegato undici pagine fitte del bollettino Aran per spiegare perché, presentando i primi risultati del nuovo sistema introdotto nel 2006. La sua relazione comincia con la citazione della famosa frase che campeggia sul tempio di Apollo a Delfi: «Conosci te stesso ». Chiaro, no? Più oscuro, invece, è il motivo per cui il sistema di valutazione dei dirigenti sia stato battezzato con il nome di una stella, S.I.R.I.O: «Sistema Integrato di Risultati, Indicatori e Obiettivi». Anche perché Sirio è la stella «del cane». Ma non è la prima volta che i creativi delle Entrate si applicano nella ricerca di improbabili acronimi. Sapete come si chiama la banca dati dell'Anagrafe tributaria? Serpico, proprio come il famoso detective anticorruzione americano. Dove però «Ser.P.I.Co» sta per «Servizio Per le Informazioni sui contribuenti ».
Complimenti. Ma c'è anche il R.A.D.A.R.: Ricerche e Analisi Decisionale per l'Accertamento del Reddito. Inseguendo Sirio, i 1.352 dirigenti scoprono da sé quanto sono bravi attraverso un complicato percorso di «autovalutazione strutturata» costruito con un software raffinato. Che dovrebbe mettere al riparo anche da eccessi di autostima. Già, ma come? Dice la relazione: «Quanto alla possibile obiezione che i racconti degli interessati potrebbero non rispondere a verità... più che mai può qui valere il detto secondo il quale "le bugie hanno le gambe corte"». Del resto, «se è giusto che il valutato pretenda oggettività dai valutatori, anch'egli deve per primo seriamente impegnarsi in un'analisi obiettiva». Insomma, fanno a fidarsi. Ma fino a un certo punto. Perché il dirigente superiore, che evidentemente non ha l'anello al naso, provvede a ridimensionare i giudizi palesemente esagerati, senza sorpresa e senza danno per l'interessato. Il quale, male che vada, si vede «retrocesso» da «eccellente » al grado di «più che adeguato ». Correzione che fa scendere il numero delle presunte eccellenze dal 40% a meno del 10%. Circostanza della quale l'Agenzia delle entrate sembra addirittura rammaricarsi, dato che l'obiettivo di S.I.R.I.O. è «la condivisione dei giudizi... vale a dire la sintonia fra come io valuto me stesso e come l'altro valuta me». Ma anche le amministrazioni che non si sono imbarcate in progetti altrettanto «stellari» (e probabilmente costosi) di valutazione, non rinunciano al giudizio fai da te. Al ministero dell'Economia, per esempio, i dirigenti di seconda fascia compilano ogni anno un questionario sui «comportamenti organizzativi» con relativo «punteggio conseguito».
Punteggio, per inciso, che si danno da soli. A fianco della loro autovalutazione c'è una colonna riservata al dirigente generale che può confermare o meno i voti che i loro sottoposti si sono attribuiti. Quanti pensate che siano i bocciati? Nessuno. Anche perché salterebbero i premi collegati. D'altra parte, se su 3.769 alti dirigenti dello Stato, non ce n'è uno che abbia avuto un giudizio mediocre, una ragione ci deve pure essere. L'economista Nicola Rossi ha raccontato domenica sul Corriere che al ministero dello Sviluppo, se ogni funzionario può essere valutato da un minimo di 3 a un massimo di 9, c'è un accordo sindacale che prevede che la media dei voti non possa essere inferiore al 6. Per non parlare della Regione Siciliana dove, secondo la Corte dei Conti, dal 2001 al 2006 tutti i 2.196 dirigenti hanno avuto in busta paga trattamenti economici di posizione pari al massimo. Possibile? Possibile. Perché in Sicilia l'«autovalutazione» è in vigore da sette anni. Anzi, sono stati loro i precursori di quello che hanno chiamato più pietosamente «autoreferto». Tecnicamente, la diagnosi della malattia effettuata dallo stesso malato. Ma il merito? Quello resta in subordine. E qualche volta ci rimane, in subordine, anche se per salire un gradino si deve fare un esame. Prendiamo il caso di Franca Caruso, dipendente del ministero dell'Economia a Catanzaro già inquadrata nella carriera direttiva, grado C1. Un bel giorno la signora decide di partecipare al concorso interno per due posizioni di livello C3. Con lei partecipano due colleghi di grado superiore C2. Ma la signora Caruso li batte entrambi e vince il concorso. Direte: le avranno srotolato il tappeto rosso e dato pure un bell'aumento di stipendio. Macché. Subito si fa un accordo sindacale, firmato dall'allora direttore generale del Tesoro Giancarlo Del Bufalo, con il quale si stabilisce che per accedere al livello C3 bisogna necessariamente passare dal grado C2. La graduatoria viene quindi rovesciata, e la signora Caruso, da prima che era, si ritrova terza. E oltre al danno, pure la beffa di vedersi offrire il posto C2 di uno dei due che aveva sonoramente battuto al concorso. Adesso sono alle carte bollate. E chissà se con l'autovalutazione sarebbe andata in maniera diversa.
Enrico Marro Sergio Rizzo
2 commenti:
Gli insegnati di religione cattolica sono privilegiati anche economicamente
di Maria Mantello
Non solo sono stati assunti con contratto a tempo indeterminato dallo Stato italiano, nonostante siano reclutati dal Vaticano. Non solo potranno andare ad insegnare anche altre materie. Ma percepiscono anche uno stipendio superiore a quello degli altri docenti, sia da precari che una volta in ruolo. Questi particolari "insegnanti di Dio", infatti, sono i soli ad avere un incremento biennale sullo stipendio pari al 2,5%, per gli anni di incarico annuale su nomina dell'ordinario diocesano, e gli unici a vederselo computato interamente una volta diventati stabili.
Ricordiamo che la questione degli insegnanti di religione cattolica si è creata nel nostro Paese col Concordato fascista del ’29. Da allora, si è andata configurando una categoria particolarissima di docenti designati dalla Chiesa Cattolica, ma pagati dallo Stato, quindi con i soldi di tutti gli italiani. Questa situazione, continuata invariata con l’avvento della Repubblica, è stata ribadita nel 1984 in occasione della revisione del Concordato dall’allora capo di governo Bettino Craxi, desideroso d'ingraziarsi una Chiesa cattolica in declino di consensi nella società civile.
Col Concordato dell' '84, l'insegnamento della religione cattolica perdeva però quella funzione di "coronamento dell'istruzione" riconosciutagli (almeno formalmente) dal regime fascista, per diventare facoltativo. Da allora, nonostante e contro l'opera di ministri e funzionari statali, più ossequiosi al Vaticano che alla laicità dello Stato, il principio della facoltatività si è definitivamente affermato, anche se è stato necessario per questo – nell’ '89 e nel 91 – il pronunciamento della Suprema Corte Costituzionale, che ha finalmente stabilito che quanti non volessero avvalersi dell'insegnamento della “Religione” non fossero costretti a frequentare "materie alternative" o a "studiare individualmente" durante l’ora in cui altri compagni di classe usufruivano dell’insegnamento religioso. Tuttavia, le azioni di favoreggiamento dei nostalgici della Religione di Stato non sono state mai dismesse, e ancora oggi capita di dover sprecare energie contro i velleitari tentativi di far valere l’insegnamento religioso per determinare promozioni e bocciature o per le attribuzioni di punteggio del credito scolastico in occasione degli scrutini finali.
Essendo facoltativo l'insegnamento della religione cattolica, la quantità dei docenti chiamati ad impartirlo è legato alle richieste di chi se ne avvalga, e poiché per prevedere la presenza di un insegnante di religione può bastare anche un alunno per classe, appare chiaro come il numero di questi docenti sia svincolato dal rapporto insegnanti-alunni valido per tutti gli altri docenti della scuola statale che hanno classi di circa trenta studenti. Il mercato del lavoro degli insegnanti di “Religione” allora è rimasto abbastanza stabile, nonostante siano diminuiti, in alcune realtà anche sensibilmente, il numero degli studenti “avvalentisi”. Un mercato che è tutto nelle mani della Chiesa romana perché lo Stato italiano, come abbiamo detto, accorda al Vaticano il privilegio di designare gli insegnanti di religione
i pretacci e i loro amici...se li conosci li eviti!!!
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