martedì 27 maggio 2008

I nuovi italiani cinici e civici

Il voto d’aprile ha fatto emergere l’«italiano sommerso», maturato all’ombra dell’ultimo ventennio del secolo scorso, che rivendica più libertà dallo Stato e nello Stato, un fisco più leggero, una politica meno invasiva e, paradossalmente, lo stesso «diritto alla paura».
Una rivoluzione, avvenuta sottotraccia, che ha fatto emergere un moltiplicarsi di stili di vita che hanno soppiantato la tradizionale e antica divisione in classi e, di conseguenza, anche il sistema delle alleanze.
L’analisi sociologica indica chiaramente la nuova fotografia della società italiana: ormai solo il 4% degli italiani si occupa di agricoltura; la classe operaia urbana è scesa, nel decennio di fine Novecento, dal 40% al 30%; il ceto medio sfiora il 30%, con una sensibile tendenza verso il basso. Poi vi è l’arcipelago indistinto di addetti ai servizi, al terziario, alle tante facce delle professioni. Una società, quindi, in cui i ceti medi tendono a scomparire, che ha indotto, in un recente volume, Gaggi e Narduzzi a parlare di società low cost.
Quali sono le conseguenze delle trasformazioni strutturali sul senso comune, sul sentimento del Paese? La percezione sociale – afferma Giuseppe De Rita - esprime un disagio diffuso e la perdita del senso di fiducia e di speranza sul destino comune.
Nelle fasi di crisi economica, di smarrimento e spaesamento, è più facile che emerga la tendenza a rinchiudersi, a difendere le proprie roccaforti, a distinguersi dall’altro. In tale spirale, «diverso» e «nemico» diventano sinonimi e, come sostiene Umberto Eco, si precipita nel «processo di produzione e demonizzazione del nemico».
Nel 1994, sui muri di Berlino fu affisso un manifesto che diceva: «Il tuo Cristo è ebreo. La tua macchina è giapponese. La tua pizza è italiana. La tua democrazia greca. Il tuo caffè brasiliano. La tua vacanza turca. I tuoi numeri arabi. Il tuo alfabeto latino. Solo il tuo vicino è uno straniero».
Nella società del disagio sociale e del rischio (Beck), i temi della sicurezza e della difesa dell’identità personale e collettiva rappresentano il fondamento della competizione politica. Sul tema della sicurezza e del rapporto con l’Altro, si va strutturando una «doppia società»?
Carlo Carboni analizza, in un volume pubblico da Laterza: La società cinica. Le classi dirigenti italiane nell’epoca dell’antipolitica (pp. 168, euro 12), la contrapposizione tra società civica e società cinica e suggerisce di distinguere tra individualizzazione, intesa come realizzazione di se stesso, con il desiderio di più informazione, più cultura, più tecnologie, con l’individualismo cinico, votato all’iperconsumismo e alla ricerca, con ogni mezzo, del proprio spazio di felicità.
In questo contesto, la demarcazione tra società cinica e società civica si delinea nel rapporto con lo Stato su fisco e sicurezza. La prima chiede uno Stato «leggero» sulle tasse e uno Stato «pesante» sulla sicurezza; la seconda, auspica che lo Stato faccia appieno il suo compito e non rinunci al ruolo regolatore e «pedagogico» della vita pubblica. Entrambi i modelli si rilevano carenti rispetto alla complessità del nostro tempo.
Così nella società italiana convivono la «questione settentrionale» che – nelle sue forme più estremistiche - tende ad assumere i tratti della società cinica, chiusa nella difesa delle proprie roccaforti, e milioni di cittadini impegnati nelle attività di volontariato e di assistenza, che suppliscono all’assenza dello Stato.
L’italiano medio, quindi, – la figura sociale che si trova tradizionalmente al centro del sistema – finisce così con l’esprimere un mix di cinismo e civismo, di senso pubblico e interesse privato, di familismo amorale e di coscienza civile, di etica e di estetica.
Cinici e civici, allo stesso tempo.

di Michele Cozzi - La Gazzetta del Mezzogiorno

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