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Una rivoluzione, avvenuta sottotraccia, che ha fatto emergere un moltiplicarsi di stili di vita che hanno soppiantato la tradizionale e antica divisione in classi e, di conseguenza, anche il sistema delle alleanze.
L’analisi sociologica indica chiaramente la nuova fotografia della società italiana: ormai solo il 4% degli italiani si occupa di agricoltura; la classe operaia urbana è scesa, nel decennio di fine Novecento, dal 40% al 30%; il ceto medio sfiora il 30%, con una sensibile tendenza verso il basso. Poi vi è l’arcipelago indistinto di addetti ai servizi, al terziario, alle tante facce delle professioni. Una società, quindi, in cui i ceti medi tendono a scomparire, che ha indotto, in un recente volume, Gaggi e Narduzzi a parlare di società low cost.
Quali sono le conseguenze delle trasformazioni strutturali sul senso comune, sul sentimento del Paese? La percezione sociale – afferma Giuseppe De Rita - esprime un disagio diffuso e la perdita del senso di fiducia e di speranza sul destino comune.
Nelle fasi di crisi economica, di smarrimento e spaesamento, è più facile che emerga la tendenza a rinchiudersi, a difendere le proprie roccaforti, a distinguersi dall’altro. In tale spirale, «diverso» e «nemico» diventano sinonimi e, come sostiene Umberto Eco, si precipita nel «processo di produzione e demonizzazione del nemico».
Nel 1994, sui muri di Berlino fu affisso un manifesto che diceva: «Il tuo Cristo è ebreo. La tua macchina è giapponese. La tua pizza è italiana. La tua democrazia greca. Il tuo caffè brasiliano. La tua vacanza turca. I tuoi numeri arabi. Il tuo alfabeto latino. Solo il tuo vicino è uno straniero».
Nella società del disagio sociale e del rischio (Beck), i temi della sicurezza e della difesa dell’identità personale e collettiva rappresentano il fondamento della competizione politica. Sul tema della sicurezza e del rapporto con l’Altro, si va strutturando una «doppia società»?
Carlo Carboni analizza, in un volume pubblico da Laterza: La società cinica. Le classi dirigenti italiane nell’epoca dell’antipolitica (pp. 168, euro 12), la contrapposizione tra società civica e società cinica e suggerisce di distinguere tra individualizzazione, intesa come realizzazione di se stesso, con il desiderio di più informazione, più cultura, più tecnologie, con l’individualismo cinico, votato all’iperconsumismo e alla ricerca, con ogni mezzo, del proprio spazio di felicità.
In questo contesto, la demarcazione tra società cinica e società civica si delinea nel rapporto con lo Stato su fisco e sicurezza. La prima chiede uno Stato «leggero» sulle tasse e uno Stato «pesante» sulla sicurezza; la seconda, auspica che lo Stato faccia appieno il suo compito e non rinunci al ruolo regolatore e «pedagogico» della vita pubblica. Entrambi i modelli si rilevano carenti rispetto alla complessità del nostro tempo.
Così nella società italiana convivono la «questione settentrionale» che – nelle sue forme più estremistiche - tende ad assumere i tratti della società cinica, chiusa nella difesa delle proprie roccaforti, e milioni di cittadini impegnati nelle attività di volontariato e di assistenza, che suppliscono all’assenza dello Stato.
L’italiano medio, quindi, – la figura sociale che si trova tradizionalmente al centro del sistema – finisce così con l’esprimere un mix di cinismo e civismo, di senso pubblico e interesse privato, di familismo amorale e di coscienza civile, di etica e di estetica.
Cinici e civici, allo stesso tempo.
L’analisi sociologica indica chiaramente la nuova fotografia della società italiana: ormai solo il 4% degli italiani si occupa di agricoltura; la classe operaia urbana è scesa, nel decennio di fine Novecento, dal 40% al 30%; il ceto medio sfiora il 30%, con una sensibile tendenza verso il basso. Poi vi è l’arcipelago indistinto di addetti ai servizi, al terziario, alle tante facce delle professioni. Una società, quindi, in cui i ceti medi tendono a scomparire, che ha indotto, in un recente volume, Gaggi e Narduzzi a parlare di società low cost.
Quali sono le conseguenze delle trasformazioni strutturali sul senso comune, sul sentimento del Paese? La percezione sociale – afferma Giuseppe De Rita - esprime un disagio diffuso e la perdita del senso di fiducia e di speranza sul destino comune.
Nelle fasi di crisi economica, di smarrimento e spaesamento, è più facile che emerga la tendenza a rinchiudersi, a difendere le proprie roccaforti, a distinguersi dall’altro. In tale spirale, «diverso» e «nemico» diventano sinonimi e, come sostiene Umberto Eco, si precipita nel «processo di produzione e demonizzazione del nemico».
Nel 1994, sui muri di Berlino fu affisso un manifesto che diceva: «Il tuo Cristo è ebreo. La tua macchina è giapponese. La tua pizza è italiana. La tua democrazia greca. Il tuo caffè brasiliano. La tua vacanza turca. I tuoi numeri arabi. Il tuo alfabeto latino. Solo il tuo vicino è uno straniero».
Nella società del disagio sociale e del rischio (Beck), i temi della sicurezza e della difesa dell’identità personale e collettiva rappresentano il fondamento della competizione politica. Sul tema della sicurezza e del rapporto con l’Altro, si va strutturando una «doppia società»?
Carlo Carboni analizza, in un volume pubblico da Laterza: La società cinica. Le classi dirigenti italiane nell’epoca dell’antipolitica (pp. 168, euro 12), la contrapposizione tra società civica e società cinica e suggerisce di distinguere tra individualizzazione, intesa come realizzazione di se stesso, con il desiderio di più informazione, più cultura, più tecnologie, con l’individualismo cinico, votato all’iperconsumismo e alla ricerca, con ogni mezzo, del proprio spazio di felicità.
In questo contesto, la demarcazione tra società cinica e società civica si delinea nel rapporto con lo Stato su fisco e sicurezza. La prima chiede uno Stato «leggero» sulle tasse e uno Stato «pesante» sulla sicurezza; la seconda, auspica che lo Stato faccia appieno il suo compito e non rinunci al ruolo regolatore e «pedagogico» della vita pubblica. Entrambi i modelli si rilevano carenti rispetto alla complessità del nostro tempo.
Così nella società italiana convivono la «questione settentrionale» che – nelle sue forme più estremistiche - tende ad assumere i tratti della società cinica, chiusa nella difesa delle proprie roccaforti, e milioni di cittadini impegnati nelle attività di volontariato e di assistenza, che suppliscono all’assenza dello Stato.
L’italiano medio, quindi, – la figura sociale che si trova tradizionalmente al centro del sistema – finisce così con l’esprimere un mix di cinismo e civismo, di senso pubblico e interesse privato, di familismo amorale e di coscienza civile, di etica e di estetica.
Cinici e civici, allo stesso tempo.
di Michele Cozzi - La Gazzetta del Mezzogiorno |
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