![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjkjSR4NI3y2p7-KAeL_XgzRQMVDPYmsYxvim2NgAnjO3P3NxZrHhJ5V7IyLY-ojB4dzYShq3inFQFTm3YbM0SpOv7iqnyOs-Xl0FU_367EtCyigPt2_YhUSpMUVj78IYmdlBzM_RQk-J8/s400/GIANNELLI28.jpg)
La scelta di Fini - Che la giornata si mettesse al variabile è stato chiaro fin dalla mattina quando il presidente della Camera Gianfranco Fini ha calcolato il numero legale contando i deputati che si erano iscritti a parlare ma che erano assenti dall'aula. Una piccola forzatura, secondo l'opposizione, che ha consentito comunque di dare il via ai lavori. Un piccolo riassunto: in discussione c'è un decreto dell'8 aprile del governo Prodi per attuare una serie di obblighi comunitari pena sanzioni europee. In questo contenitore di otto articoli sulle materie più disparate, dalla pubblica sicurezza e alla caccia e alla pesca fino alla parità dei diritti tra le persone a prescindere da religione, razza e sesso, il governo Berlusconi inserisce una serie di emendamenti tra cui quello sulle frequenze tv (8.014). L'emendamento, in sostanza, lascia la situazione sul fronte delle frequenze tv e sui diritti così come sta adesso. La congela, nonostante la sentenza della Corte Costituzionale e della Corte europea di Giustizia. Così facendo, Europa 7 ancora una volta non ha accesso alle frequenze tv analogiche (il sistema più diffuso) a cui ha diritto da anni ma che non può occupare perché c'è Rete 4. In questo senso il Pd definisce l'emendamento salva-Rete 4. La correzione della maggioranza - Ostruzionismo, polemiche e anche l'incontro di ieri con Michele Meta, Paolo Gentiloni e Giovanna Melandri, convincono la maggioranza a fare alcune correzioni. "Il governo riformula l'emendamento in materia di frequenze tv al decreto legge 'salva-infrazioni' in due punti, accogliendo in parte le richieste venute dal Pd, in particolare dal capogruppo in commissione Trasporti Michele Meta" annuncia a fine mattinata in aula Paolo Romani. "In questo modo speriamo di sbloccare l'ostruzionismo" si augura il sottosegretario. La modifica arriva su un foglio nella pausa pranzo. Una pagine di richiami e rinvii. Il tempo di farla leggere ai tecnici e arriva la risposta dell'opposizione. "Modifiche marginali e quasi peggiorative. Resta la sanatoria implicita della situazione esistente" sentenzia Michele Meta (Pd) le cui osservazioni avevano sollecitato le modifiche. Avanti con l'ostruzionismo, quindi. E' chiaro fin dai primi interventi: ogni deputato può parlare un minuto a testa per ogni emendamento, il Pd conta su 217. Sono 2.170 minuti di ostruzionismo. I dipietristi in piazza. L'ex pm Antonio Di Pietro sottolinea soddisfatto che "anche il Pd adesso sta facendo quell'opposizione dura ma necessaria quando in ballo ci sono gli interessi del paese". I deputati dell'Idv sono i più solerti al microfono dell'aula. Il concetto è sempre lo stesso: nei primi due provvedimenti del governo hanno inserito due norme ad aziendam, l'estensione del patteggiamento nel pacchetto sicurezza (poi tolto) e il salva Rete-4 nel pacchetto europeo. "Il lupo perde il pelo ma non il vizio" è il refrain dai banchi dell'Idv. Intanto davanti a Montecitorio i dipietristi portano cartelli funebri per dire che "l'informazione è morta" e che "Il Caimano è tornato". Per Di Pietro "la correzione è una presa in giro": "Noi - spiega - vogliamo che il mercato delle frequenze sia trasparente, lui invece dice: Io le frequenze ce le ho, e chi non ce le ha s'attacca". Con toni più sfumati, è la stessa posizione che in serata i capogruppi Massimo Donadi e Felice Belisario porteranno al Colle nell'incontro con Napoletano. Quante assenze nel Pdl. Alla ripresa dei lavori dell'aula (alle 15), non solo il Pdl tocca con mano che l'ostruzionismo va avanti come e peggio di prima, ma va anche sotto nella votazione dell'emendamento 8.02. La presidenza dell'aula tocca a Rosy Bindi che finiti gli interventi degli iscritti a parlare mette in votazione una norma che ha a che fare con la protezione delle "specie faunistiche e volatili protette specie durante la nidificazione". Il testo in votazione, proposto dalla maggioranza, sarebbe musica per verdi e animi ambientalisti. Ma per due voti il Pdl non ce la fa. Se Cicchitto e Vito glissano "su un banale incidente che non ha nulla a che fare con la politica", l'opposizione gongola. "Quanti fannulloni oggi nei banchi della maggioranza" sorride Melandri, "cosa farà ora il ministro Brunetta?". Ma soprattutto, chi glielo spiega a Berlusconi per cui compito di ogni deputato "non è tanto essere esperto in qualcosa ma stare in aula, pigiare un bottone e votare". Per Walter Veltroni "è la dimostrazione che stanno facendo cose sbagliate, forzature piene di contraddizioni di cui non sono convinti neppure loro". Andrea Orlando (Pd), giovane deputato e anche responsabile organizzativo del partito, osserva che "è stata punita l'arroganza del governo e della maggioranza forse disorientata da un provvedimento che è una forzatura". E' un fatto che oggi in aula c'erano 102 deputati assenti tra i banchi del Pdl. Al netto di quelli giustificati perché in missione, sono tra i 60 e i 70 quelli di cui si sono perse le tracce in quella che è la prima votazione che conta nell'aula di Montecitorio. In serata il premier ha convocato a palazzo Grazioli il capogruppo Fabrizio Cicchitto e si è fatto portare i tabulati del voto. Per dare nome e cognome ad ogni assente. E capire se e quali messaggi al suo governo portano tutte queste assenze.
2 commenti:
E’ saltato. Per ora è stato stoppato. L’emendamento cosiddetto “Salva-Rete4” è stato ritirato dalla maggioranza. Forse verrà riformulato. Non è detto però che non venga inserito in qualche altro testo. Non si sa se a Europa 7 verrano riconoscituti i propri diritti. Bisognerebbe abrogare la legge Gasparri. Che invece vige. Sugli italiani pende una spada di Damocle rappresentata dai risarcimenti che lo Stato dovrebbe pagare all’emittente di Di Stefano per il mancato rispetto della sentenza della Corte di Giustizia Europea. Praticamente una tassa. Si potrebbe chiamarla tassa d’alta Fede(ltà). Ben felici saranno gli elettori berlusconiani più affezionati di contribuire al risanamento delle malefatte del proprio padrone, lasciato libero di legiferare a cura del suo particulare dall’attuale opposizione che, ai tempi in cui era maggioranza, poco si impegnò nel promulgare leggi in materia di conflitto d’interessi e sistema radiotelevisivo. Opposizione che ora mena gran vanto del fatto che l’emendamento della discordia, quello che poteva minare il clima di dialogo, sia stato accantonato. Qualcuno a quei tempi ebbe a dire che Mediaset rappresentava una risorsa per il Paese. Di sicuro lo è per Berlusconi dal momento che l’ultimo bilancio aziendale parla di 375 milioni di euro d’utile. Eh, come sono lontani i tempi in cui si andava in ginocchio da Oscar Mammì e in cui si temeva per il fallimento! Grazie a regimi transitori e leggi ad personam, ehm pardon ad aziendam con licenza maccheronica latina parlando, si è potuto salvare questo grande patrimonio per il paese in barba alle sentenze della Consulta e anche della Corte di Giustizia Europea. Chissà come si evolverà la vicenda. Sua Emittenza vorrà continuare a curare i propri interessi, permettendo al clandestino dell’etere Emilio Fede (si preoccupi qualora venga davvero introdotto il reato di clandestinità!) di continuare a fargli da megafono, oppure vorrà dare conferma della fama di statista che comincia ora a circondarlo, rispettando i diritti degli altri? Mah…
Come alla nascita di ogni regime, anche stavolta si riscontra tutt'intorno ai nuovi padroni del vapore uno spaventoso affollamento di cortigiani, sicofanti, voltagabbana, ma soprattutto di reduci antemarcia. Il reduce antemarcia è una figura tipicamente italiota, che a ogni cambio di governo resetta il proprio passato e s'inventa a tavolino una nuova biografia a immagine e somiglianza del nuovo potere. "Sire, io l'ho sempre pensata come lei, da prima che lei nascesse...".
Quando da una parte c'era la sinistra e dall'altra il centro o la destra, era più semplice, anche perché nell'albero genealogico di ciascuno c'è sempre un nonno o uno zio che ha fatto la Resistenza (o dice di averla fatta) e un altro che ha fatto la marcia su Roma (o dice di averla fatta). Basta estrarre il nonno giusto al momento giusto, e il gioco è fatto. Ora che non si capisce bene dove finisca la maggioranza e dove cominci l'opposizione, per il reduce antemarcia il gioco si complica. Bisogna dimostrare di essere sempre stati sia di destra sia di sinistra, o almeno favorevoli al dialogo e all'inciucio. Impresa titanica, almeno per chi non è editorialista del Corriere o del Riformatorio. E per chi non si chiama Pierluigi Celli.
Questo eroe dei nostri tempi, che solo per motivi anagrafici non ha ispirato un film di Alberto Sordi, è attualmente direttore generale della Luiss, ma fino al 2001 lo fu della Rai perché - lo disse lui stesso - "mi chiamò D'Alema". Ma ovviamente non dispiaceva neppure a Berlusconi, che quando si tratta di Rai, essendo il padrone della concorrenza, ha sempre avuto voce in capitolo. Infatti Celli regalò Rai1 al superberlusconiano Agostino Saccà. Poi, nel febbraio 2001, alla vigilia dell'annunciatissima vittoria elettorale del Cavaliere, si trovò una nicchia sicura a Telefonica, la compagnia spagnola che controllava la Endemol, a sua volta guidata in Italia da Marco Bassetti, marito di Stefania Craxi, fornitrice di format alla stessa Rai. Con quella mossa elegantissima, Celli lasciò la Rai in pasto agli epuratori. Oggi, con una biografia così, non gli servirebbe alcun riposizionamento. Ma lui vuole esagerare e l'altroieri racconta al Giornale berlusconiano una storia di pura fantasia, fabbricata a tavolino ex post: "Mi sono dimesso da direttore generale proprio alla vigilia degli interventi di Marco Travaglio a Satyricon e di Michele Santoro, perché ero contrario. Sono convinto che una tv pubblica non deve essere di parte, ma deve mantenere il suo equilibrio. Il loro è stato, come dire, un errore di grammatica. Non si fa".
Ecco: lui era contrario in cuor suo, ha sofferto in silenzio per tutti questi anni, e solo ora ha deciso di uscire allo scoperto. In tempi non sospetti, direbbe qualche buontempone. Purtroppo, la sua versione dei fatti ha un problema di consecutio temporum. Occhio alle date. Celli annuncia le dimissioni dalla Rai l'8 febbraio 2001. Il Satyricon di Daniele Luttazzi che ospita il sottoscritto per presentare "L'odore dei soldi" sulle origini e i misteri delle fortune di Berlusconi (scritto con Elio Veltri) è del 14 marzo: 5 settimane dopo. Le puntate di "Raggio verde" di Santoro sul caso Berlusconi-Dell'Utri sono quella del 16 marzo e quelle successive. Come poteva Celli essere contrario agli "errori di grammatica" di Luttazzi, Travaglio e Santoro un mese e mezzo prima che venissero commessi? Si dirà: erano già nell'aria ai primi di febbraio. Impossibile.
"L'odore dei soldi" esce in libreria a metà febbraio, una settimana dopo le dimissioni di Celli. E viene presentato alla stampa nella saletta di Montecitorio a fine febbraio. Luttazzi legge una cronaca del Manifesto e decide di procurarsi il libro. Lo legge e mi invita a presentarlo a Satyricon per il 14 marzo. E Santoro? Si era per caso già occupato del caso Berlusconi, in quella campagna elettorale, prima del Satyricon sull'Odore dei soldi? Nossignori. Tant'è che ancora il 10 gennaio 2001 Celli si complimentava con la squadra di Santoro per il documentario "Sciuscià" sui ricconi in Costa Smeralda ("Riteniamo di dover esprimere un riconoscimento pubblico, a nome dell'azienda tutta, al gruppo di sciuscià per la straordinaria qualità del reportage realizzato e per la professionalità dimostrata"). Il 26 gennaio, due settimane prima delle dimissioni di Celli, Raggio verde si occupava della mucca pazza. Il 2 febbraio, sei giorni prima delle dimissioni di Celli, il tema era l'abusivismo nella valle dei templi di Agrigento. Ora, può darsi che noi non conosciamo la grammatica. Celli però non conosce neppure il calendario. Ma è ancora giovane, si farà.
Posta un commento