venerdì 18 aprile 2008

IL DAY AFTER


Segretario, in questo amaro day-after elettorale c'è una parola chiave che lei non ha ancora pronunciato.
"Qual è?"


" È la parola "sconfitta".
"Io non ho alcuna difficoltà a parlare di sconfitta. Ma attenzione. La sconfitta c'è stata nella sfida per il governo: ero il primo a sapere che questa era una missione difficilissima, che non era certo facile vincere in soli quattro mesi invertendo una tendenza negativa consolidata in due anni. Ma se guardiamo alla costruzione di una grande forza riformista, allora non si può proprio parlare di sconfitta: è stato un miracolo, perché oggi quella forza ha recuperato più di 10 punti, esiste ed è finalmente una realtà del Paese".


Ma è una "realtà" che Berlusconi ha oscurato, nonostante l'ottima campagna elettorale che ha fatto lei. Si ricorda la lezione di Nenni sulle "piazze piene e le urne vuote"?

"Piazze piene ne ho avute, eccome. Ma ho avuto piene anche le urne: ora il Pd ha una forza impensabile fino a sei mesi fa...". Ma il Pdl ha ottenuto alla Camera oltre 17 milioni di voti, circa 3,5 milioni in più del Pd e dell'Idv. "Dal voto è confermata la forza della destra, con un radicamento in molti strati dell'opinione pubblica. Ma mi faccia dire che è emerso anche il Pd, che ha ottenuto oltre 12 milioni di voti, il livello più alto dal '96, e una percentuale che per un partito del centrosinistra è la più alta nella storia repubblicana".


D'accordo. Ma non si può accontentare di aver ottenuto 160 mila voti in più. Il Nord si conferma off limits, e anche al Sud voi guadagnate solo 1 punto, e il Pdl ne guadagna 15. Come mai?

"Il Pd è andato molto bene nelle zone urbane e nei capoluoghi di provincia. A Torino siamo cresciuti del 6,6%, a Milano del 9,1%, a Venezia del 6,9, a Genova del 6,3%, a Bologna del 6,8%, nelle aree del Nord-Est siamo il primo partito. Anche al Sud a Napoli il Pd è cresciuto del 5,4%, a Palermo del 7%. Al contrario, abbiamo sofferto nelle aree più diffuse e periferiche, e qui pesano fattori sociali e politici".


Dica la verità: non hanno pesato anche le candidature imposte da Roma? Non è stata un'illusione pensare che con Calearo si risolveva la Questione Settentrionale?

"No, sulle candidature non abbiamo proprio nulla da rimproverarci. Finalmente competenze ed esperienze sociali, e abbiamo raddoppiato il numero delle donne e dei giovani". Allora perché, da questo voto, il centrosinistra esce di nuovo minoranza in Italia? "Abbiamo perso per due ragioni di fondo. La prima ragione riguarda il Paese. La società italiana è fortemente attraversata da un sentimento di insicurezza, per esempio rispetto al fenomeno dell'immigrazione, e di paura per un possibile peggioramento delle condizioni di vita. Il voto riflette questo bisogno di protezione, che non a caso ha premiato soprattutto la Lega. Noi, in quattro mesi di campagna elettorale, abbiamo capovolto i ruoli, presentandoci come una grande forza di modernizzazione. Ma nel Paese, evidentemente, ha prevalso un istinto di difesa e di conservazione, di cui la destra si è fatta interprete. Dobbiamo aprire una grande riflessione sui mutamenti della società italiana, chiamando a raccolta le energie e le competenze migliori. È uno dei nostri primi impegni".


Vuol dire che non avete sbagliato voi, ma hanno sbagliato gli elettori?

"Non ho detto questo. Ma certo non posso nascondere una certa inquietudine per il fatto che un candidato premier che attacca il Capo dello Stato, sostiene che i magistrati devono fare un test di sanità mentale, dice che Mangano è un eroe, definisce grulli tutti quelli che non votano per lui, ottiene un consenso così vasto. Ci sono alcuni punti fermi, senza i quali una democrazia non è più tale. E allora mi chiedo: dov'erano i liberali, quando Berlusconi diceva che Mangano è un eroe? Dov'erano tutti i pensatori illuminati, che continuano giustamente ad occuparsi del '56, quando Berlusconi strappava il programma del Pd?". Toccava a voi convincerli. Come toccava a voi convincere i moderati, senza rinnegare i valori della laicità. "Su questo, con tutto il rispetto, vorrei dire una parola anche sulla Chiesa: mi sta benissimo che si intervenga con passione su temi come il testamento biologico, ma forse la battaglia su certi valori fondanti della democrazia andrebbe fatta con la stessa intensità con la quale si combatte quella per i temi etici. Noi, ora, quella battaglia vogliamo farla fino in fondo, anche a costo di ritrovarci al nostro fianco solo un terzo del Paese".


Mi permetta di dirglielo: lei così non ripete l'errore del vecchio Pci berlingueriano, rinchiuso nel mito della diversità come valore in sé? Invece che la critica sul voto, non è più utile l'autocritica? "No, guardi, semmai noi ormai abbiamo il vizio opposto, che è quello di dare sempre e prima di tutto la colpa a noi stessi. Dovremmo, solo su questo, prendere esempio da Berlusconi, che ha già perso due volte, senza mai fare lo straccio di un'autocritica, ed è sempre andato avanti per la sua strada".


Mi spieghi la seconda ragione per la quale avete perso.

"La seconda ragione riguarda noi stessi. Il nuovo centrosinistra, che noi abbiamo rilanciato con un atto fondativo senza ritorno, la creazione di un grande partito riformista che ha rotto con le vecchie alleanze e si è presentato da solo agli elettori, ha dovuto combattere con l'immagine negativa del vecchio centrosinistra. Negli strati profondi della popolazione i lasciti della vecchia maggioranza hanno finito per essere solo due: troppe tasse, troppi veti incrociati. Questo pregiudizio, alimentato ad arte dalla tv e appesantito dal disastro dei rifiuti e dalla crisi dell'Alitalia, ci ha impedito di coronare con successo la rimonta. In campagna elettorale abbiamo fatto scelte dirompenti, e pronunciato parole di innovazione mai ascoltate prima a sinistra: sul fisco, sulla sicurezza, sulla certezza della pena, sulla fine della cultura dei veti. Ma in soli quattro mesi, evidentemente, i nostri messaggi non hanno prodotto un accumulo sufficiente presso l'elettorato. Avremmo avuto bisogno di più tempo...".


Lei sta dicendo quindi che avete perso per colpa dell'eredità del governo Prodi?

"Io su Prodi continuo a distinguere. C'è un Prodi uomo di Stato, uno dei più grandi che la storia repubblicana abbia conosciuto. E c'è la vecchia maggioranza, che in questi due anni ha scontato, suo malgrado, una caduta oggettiva di consensi, dall'indulto alla prima Legge Finanziaria. Prodi, e noi con lui, abbiamo pagato una conflittualità permanente dentro una coalizione paralizzata dalla cultura dei no. Ecco perché i partiti della ex Unione hanno ottenuto risultati pessimi. Ma guarda caso, tutti tranne uno: il Pd. È questo, oggi, che mi fa dire che la nostra scelta di discontinuità è stata giusta, e che il nostro coraggio è stato premiato. Se domenica scorsa ci fossimo ripresentati agli elettori con l'assetto del 2006, oggi saremmo stati travolti da uno tsunami dal quale il centrosinistra non si sarebbe mai più ripreso".


Giusto. Ma uno tsunami c'è stato lo stesso. La Sinistra Arcobaleno non esiste più. Colpa vostra, dicono da quelle parti.

"La tragedia elettorale che ha portato la Sinistra Arcobaleno fuori dal Parlamento non è una buona cosa per la nostra democrazia. Ma loro scontano due errori, e fingere di non vederli mi sembra quasi altrettanto grave che addossare al Pd le colpe per la loro scomparsa. Il primo errore è stato quello di aver bombardato fin dal primo giorno il governo Prodi: la prova sta già in quegli oltre 100 tra ministri e sottosegretari con i quali è nato quell'esecutivo. Il secondo errore è riassunto nelle parole di Bertinotti al suo giornale, quando il 4 dicembre 2007 dichiarò testualmente "è fallito il progetto del governo" e definì Prodi, con le parole di Flaiano su Cardarelli, "il più grande poeta morente"...".


Solo questo? La Sinistra Arcobaleno non ha pagato anche la campagna sul voto utile, la cannibalizzazione del Pd?

"Ma quale cannibalizzazione? La Sinistra Arcobaleno non ha capito la società moderna. Vuole una prova? Quando lanciai la mia campagna sulla sicurezza, e dissi che non è né di destra né di sinistra, l'estremismo di "Liberazione" li portò ad accusarmi di fascismo. Ecco cosa hanno pagato. Il non aver capito che soprattutto negli strati più popolari c'era un bisogno crescente di protezione. Il non aver capito che occorrevano decisioni forti sul Welfare, sui rifiuti, sulla Tav, e che la cultura del no ci avrebbe portati alla rovina".


E adesso che succede? Riaprirete il dialogo con la sinistra ormai extraparlamentare?

"Al dialogo siamo sempre pronti. Le dirò di più: in Parlamento, come forza riformista, cercheremo di rappresentare anche le culture presenti alla nostra sinistra. Ma indietro non si torna. Discuteremo con loro, ma non saremo mai loro".


Che mi dice di Casini? Ieri vi siete visti: farete l'opposizione a Berlusconi insieme?

"La rottura dell'Udc con Berlusconi è stata tardiva, purtroppo. Se dopo la caduta di Prodi avessero detto sì a un governo Marini per le riforme, oggi la storia sarebbe diversa. Anche loro portano una grande responsabilità, per quello che è accaduto. Nonostante questo, il dialogo con Casini sarà molto serrato. Dovrà essere un nostro sforzo nei prossimi mesi, a partire dalla condivisione dell'opposizione".


Ancora una volta vi aspetta la lunga traversata nel deserto. Siete preparati?

"Faremo un'opposizione molto forte. Berlusconi non si illuda: non gli faremo sconti, e il nostro fair play in campagna elettorale non ci impedirà di alzare la voce, ogni volta che vedremo violati o messi a rischio i valori costituzionali che ho indicato nella lettera-appello lanciata prima del voto. Faremo un'opposizione riformista, dura ma non ideologica. Vigileremo sul rispetto delle regole. Incalzeremo il futuro premier sulla montagna di promesse che ha seminato in campagna elettorale, dall'abolizione dell'Ici a quella dell'Irap. E stavolta non finirà come ai tempi del contratto con gli italiani, che il Cavaliere ha disatteso all'85%. Il governo-ombra servirà anche a questo. Non so quanto durerà Berlusconi, ma so che la crisi economica morderà in modo drammatico, e vedo già che le prime crepe stanno uscendo fuori. Faremo in modo di far esplodere le contraddizioni, che ci saranno, su questo non ho dubbi. La Lega avanza già pretese esorbitanti. Questo creerà grandi tensioni, anche a Nord".


Insomma, il Veltrusconi è morto e sepolto?

"Non è mai esistito. Faremo una battaglia senza quartiere, sui valori e sulle politiche, La nostra idea di società resta radicalmente diversa dalla loro". In questo clima che fine fanno le riforme? Per ora il Cavaliere sembra disponibile al dialogo... "Finora non l'ho visto né sentito. Se il futuro premier ritiene utile e opportuno parlare con il leader dell'opposizione, la linea del mio telefono è sempre libera. Ma se invece fa eleggere Schifani presidente del Senato, Fini presidente della Camera e Tajani commissario Ue, allora comincerà un altro film. L'Italia ha bisogno di ritrovare equilibrio istituzionale e serenità".


La sfida di Rutelli a Roma può essere la prima occasione di rivincita, secondo lei?

"Roma è cambiata enormemente in questi 15 anni. E' una città che cresce in economia e occupazione molto più del resto del Paese. È una città che ha in corso una trasformazione paragonabile a quella delle altre metropoli europee. È un bene che questa ispirazione continui. Ed è un bene che ci sia un sindaco, come era capitato a me, di un colore politico diverso da quello del premier, perché questo è utile alla dialettica democratica del Paese".


2 commenti:

Anonimo ha detto...

La sinistra non è in via d'estinzione
Parlamento e non

Dagli anni Sessanta al tardo pomeriggio di lunedì scorso si è almanaccato, e ci si è accapigliati, sulle «due sinistre» e sul loro eterno duellare, solo per qualche tratto interrotto da brevi armistizi, quasi inevitabilmente destinati a dar luogo a nuove rotture. Socialisti e comunisti, riformisti e massimalisti, moderati e radicali, integrati e apocalittici. Altri tempi. Adesso, si dice, è tutto cambiato. Lo scorso fine settimana c'è stato un terremoto di inaudite proporzioni, che ha cambiato lo scenario politico, culturale e civile del Paese.

Sinistra compresa, eccome. Perché l'eterna guerra civile della sinistra italiana, proseguita, seppure in altra guisa, anche dopo la caduta del comunismo e la fine del Pci, si è conclusa, sì, ma senza vincitori: si potrebbe anzi dire, parafrasando Carlo Marx, con la comune rovina delle parti in lotta. Là dove fino a qualche tempo fa c'erano ben due sinistre (con questi chiari di luna, certo, uno spreco) ora non ce n'è più nemmeno una, almeno in Parlamento: e anche questo sembrerebbe un eccesso. In Europa, un caso assai raro, per non dire unico. In Italia, un passaggio d'epoca di portata addirittura incalcolabile, che lascia i vinti nella costernazione e induce i vincitori a considerazioni soddisfatte. È così? Meglio ragionarci su. Solo un pazzo, o un cretino, potrebbe sottovalutare l'importanza di quel che è avvenuto. Prima di gridare all'irreversibile passaggio d'epoca, per rallegrarsene o per stracciarsi le vesti, è però d'obbligo un po' di cautela.

E anche qualcosa di più. Perché è vero, le forze che in Italia si definiscono di sinistra (la Sinistra Arcobaleno, certo, ma pure i socialisti) per la prima volta nella storia repubblicana sono diventate, per necessità e non per scelta, extraparlamentari: un disastro infinitamente più grave della più severa delle sconfitte che rischia di indurle, basta leggere le cronache, a scontri intestini autodistruttivi (come se ci fosse qualcosa d'altro da distruggere) piuttosto che a una riflessione severa sugli errori compiuti e al cambiamento profondo di gruppi dirigenti e di indirizzo politico e culturale necessari per affrontare quella che si annuncia come una traversata del deserto. Ma di qui a dire che in questo Paese non ci sono più una sinistra e un elettorato di sinistra ne corre. Lo testimonia, in fondo, pure il gran numero di astensioni che si è registrato, secondo quasi tutti gli osservatori, proprio in questo elettorato: frutto, par di capire, più di una cocente delusione «di sinistra» per quel che è capitato negli ultimi due anni che di un divorzio dalla sinistra medesima, dalla sua storia, dalle sue speranze, dalle sue passioni e persino dai suoi tic. E lo testimonia anche, nemmeno troppo paradossalmente, lo stesso risultato ottenuto dal Partito democratico dopo una campagna elettorale in cui Walter Veltroni ha insistito giorno dopo giorno, piazza dopo piazza, sulla straordinaria novità rappresentata dal correre (quasi) da soli e sull'irreversibilità della rottura con la sinistra radicale.

Secondo le prime analisi dei flussi, almeno un milione mezzo di elettori che nel 2006 avevano premiato la sinistra radicale medesima stavolta ha votato per il Pd: c'è da supporre che almeno nella maggior parte dei casi questa scelta sia maturata in nome del «voto utile » (utile, si capisce, per evitare il ritorno di Silvio Berlusconi o almeno per contrastarlo) piuttosto che per un improvviso entusiasmo per la connotazione in una certa misura «centrista», e in ogni caso dichiaratamente non «di sinistra», impressa da Veltroni al nuovo partito. Questo mondo, questa Italia più vasta, profonda e significativa del 3 e poco più per cento, roba da ultimi giorni del Psiup, che la sinistra radicale ha portato a casa, e dello zero virgola delle falci e martello e dei socialisti, è sicuramente ferita, anzi, tramortita, qualsiasi scelta abbia fatto nelle urne. Ma non è stata spazzata via il 13 e il 14 aprile. E sbaglia chi pensa che si tratti semplicemente di una specie in via di estinzione, come con ogni probabilità in gran parte lo sono, invece, i gruppi dirigenti dopo il fallimento del tentativo disperato di Fausto Bertinotti di condurli in salvo insieme al loro popolo. Magari è un po' avventuroso scommetterci su oggi.

Ma la sinistra, che è al governo di tante amministrazioni locali, nel sindacato, in una parte grande dell'associazionismo, ritroverà un modo per far sentire politicamente la sua voce. Non sarà un male o un passo indietro, anzi. I problemi per la democrazia si fanno seri quando una parte significativa del Paese è priva di rappresentanza politica, non quando sta in Parlamento.

di Paolo Franchi
posted by Lorenzo54

Anonimo ha detto...

"L'Italia berlusconiana è la peggiore delle Italie che io ho mai visto. E dire che di Italie brutte nella mia lunga vita ne ho viste moltissime. L'Italia della marcia su Roma, becera e violenta, animata però forse anche da belle speranze. L'Italia del 25 luglio, l'Italia dell'8 settembre, e anche l'Italia di piazzale Loreto, animata dalla voglia di vendetta. Però la volgarità, la bassezza di questa Italia qui non l'avevo vista né sentita mai. Il berlusconismo è veramente la feccia che risale il pozzo. (...) Non sono spaventato: piuttosto sono impressionato, come non lo ero mai stato. Va bene, mi dicevo, succede anche questo: uno dei tanti bischeri che vengono a galla, poi andrà a fondo. Ma adesso sono davvero impressionato, anche se la mia preoccupazione è molto mitigata dalla mia anagrafe. Che vuole, alla mia età preoccuparsi per i rischi del futuro fa quasi ridere. (...) È strano: io non avevo mai preso parte alla campagna di demonizzazione: tutt'al più lo avevo definito un pagliaccio, un burattino. Però tutte queste storie su Berlusconi uomo della mafia mi lasciavano molto incerto. Adesso invece qualsiasi cosa è possibile".
(Indro Montanelli, intervista a Repubblica, 26 marzo 2001)