La prima riguarda il federalismo fiscale. Due movimenti territoriali - la Lega Nord e il Movimento per l’autonomia di Lombardo - hanno dato un contributo fondamentale alla vittoria elettorale. Da loro dipendono le maggioranze sia alla Camera che al Senato. La Lega chiede un federalismo fiscale che non concede nulla ai trasferimenti alle Regioni del Sud: nel suo programma il 90 per cento dei gettiti dei tributi erariali dovrebbe rimanere nei territori che li generano.
L’Mpa chiede, invece, di «trattenere» le accise sulla benzina raffinata (non venduta) in Sicilia. Equivale a un trasferimento aggiuntivo di quasi un miliardo alla sola Sicilia. Difficile conciliare queste richieste. Lo stesso programma del Pdl prevede di far adottare dal Parlamento una proposta di legge della Lombardia che trattiene alle Regioni l’80 per cento del gettito Iva, il 15 per cento del gettito Irpef e, nella loro interezza, l’accisa sulla benzina e l’imposta sui tabacchi e sui giochi.
Paradossalmente un esecutivo che ha promesso di affrontare il nodo del federalismo fiscale inaugurerà le proprie attività con l’abolizione totale dell’Ici, l’unica vera tassa locale oggi esistente. Auguriamoci che non si continui con il federalismo all’italiana, decentramento di capacità di spesa e accentramento di prelievo, quello che ci porta oggi a destinare un quarto del bilancio dello Stato ai trasferimenti a Regioni ed enti locali.
La seconda sfida riguarda la legge elettorale. Fra un anno ci sarà il referendum. I sostenitori, sin qui nascosti, del Porcellum escono finalmente allo scoperto. La legge sta funzionando molto bene per la Lega (lo sbarramento regionale all’8 per cento sembra fatto apposta per lei) e già fin dalle prime dichiarazioni del dopo voto, rappresentanti del Carroccio hanno chiesto di «rivalutare l’eredità di Calderoli» (manco fosse don Sturzo). Lo stesso Berlusconi, forse sotto la pressione della Lega, si è detto pronto ad andare al referendum difendendo questa legge elettorale.
Eppure il significato del referendum non si è perso col voto. È una legge che non permette la selezione e il rinnovamento della classe politica: dal voto emergerà un Parlamento con un quinto di donne e solo 42 deputati con meno di 35 anni. I nuovi entranti non hanno un titolo di studio più elevato di chi era già in Parlamento. Sono 6 i condannati in via definitiva che entrano alla Camera. Vedremo, a fine legislatura, se si è davvero ridotto il numero dei gruppi parlamentari. Prima del Porcellum erano otto ed è questa, dunque, la soglia con cui confrontarsi.
Il voto ci dice anche che gli italiani vogliono partecipare. La partecipazione al voto è tornata ai livelli del 2001: non c’è stata nessuna fuga dalla politica. Ma gli italiani vogliono anche tornare a esprimere preferenze, non intendono più firmare assegni in bianco ai segretari dei partiti. I sondaggi condotti dopo il voto dicono che due terzi degli italiani vogliono cambiare la legge elettorale.
Il nuovo governo non può permettersi di buttare al vento i risultati ottenuti dall’esecutivo di Prodi nel recupero di evasione fiscale.
È la terza sfida decisiva che attende questo governo. Non sarà facile dare agli italiani un segnale diverso dal lassismo fiscale con Giulio Tremonti al dicastero dell’Economia (bene che abbia escluso nuovi condoni in risposta a un nostro invito!) e sfatare la tradizione che vede le entrate calare, anche a parità di aliquote, durante i governi Berlusconi.
I temi economici sono, dunque, destinati a essere decisivi nel cammino del nuovo esecutivo. Speriamo che anche la nuova opposizione li segua da vicino dopo averli colpevolmente trascurati in campagna elettorale. Incomprensibile il suo silenzio sul federalismo (su cui aveva compito facile nell’illustrare come il programma elettorale del «principale esponente dello schieramento avverso» tagliasse pesantemente i trasferimenti alle Regioni più povere) e sull’immigrazione.
Paradossale che il centrodestra sia riuscito a dare un segnale di svolta nelle politiche sugli immigrati quando i flussi vengono ancora gestiti con la legge Bossi-Fini. Certo la passata legislatura ci ha messo di suo con l’indulto, che ha incoraggiato l’immigrazione dei criminali.
L’Mpa chiede, invece, di «trattenere» le accise sulla benzina raffinata (non venduta) in Sicilia. Equivale a un trasferimento aggiuntivo di quasi un miliardo alla sola Sicilia. Difficile conciliare queste richieste. Lo stesso programma del Pdl prevede di far adottare dal Parlamento una proposta di legge della Lombardia che trattiene alle Regioni l’80 per cento del gettito Iva, il 15 per cento del gettito Irpef e, nella loro interezza, l’accisa sulla benzina e l’imposta sui tabacchi e sui giochi.
Paradossalmente un esecutivo che ha promesso di affrontare il nodo del federalismo fiscale inaugurerà le proprie attività con l’abolizione totale dell’Ici, l’unica vera tassa locale oggi esistente. Auguriamoci che non si continui con il federalismo all’italiana, decentramento di capacità di spesa e accentramento di prelievo, quello che ci porta oggi a destinare un quarto del bilancio dello Stato ai trasferimenti a Regioni ed enti locali.
La seconda sfida riguarda la legge elettorale. Fra un anno ci sarà il referendum. I sostenitori, sin qui nascosti, del Porcellum escono finalmente allo scoperto. La legge sta funzionando molto bene per la Lega (lo sbarramento regionale all’8 per cento sembra fatto apposta per lei) e già fin dalle prime dichiarazioni del dopo voto, rappresentanti del Carroccio hanno chiesto di «rivalutare l’eredità di Calderoli» (manco fosse don Sturzo). Lo stesso Berlusconi, forse sotto la pressione della Lega, si è detto pronto ad andare al referendum difendendo questa legge elettorale.
Eppure il significato del referendum non si è perso col voto. È una legge che non permette la selezione e il rinnovamento della classe politica: dal voto emergerà un Parlamento con un quinto di donne e solo 42 deputati con meno di 35 anni. I nuovi entranti non hanno un titolo di studio più elevato di chi era già in Parlamento. Sono 6 i condannati in via definitiva che entrano alla Camera. Vedremo, a fine legislatura, se si è davvero ridotto il numero dei gruppi parlamentari. Prima del Porcellum erano otto ed è questa, dunque, la soglia con cui confrontarsi.
Il voto ci dice anche che gli italiani vogliono partecipare. La partecipazione al voto è tornata ai livelli del 2001: non c’è stata nessuna fuga dalla politica. Ma gli italiani vogliono anche tornare a esprimere preferenze, non intendono più firmare assegni in bianco ai segretari dei partiti. I sondaggi condotti dopo il voto dicono che due terzi degli italiani vogliono cambiare la legge elettorale.
Il nuovo governo non può permettersi di buttare al vento i risultati ottenuti dall’esecutivo di Prodi nel recupero di evasione fiscale.
È la terza sfida decisiva che attende questo governo. Non sarà facile dare agli italiani un segnale diverso dal lassismo fiscale con Giulio Tremonti al dicastero dell’Economia (bene che abbia escluso nuovi condoni in risposta a un nostro invito!) e sfatare la tradizione che vede le entrate calare, anche a parità di aliquote, durante i governi Berlusconi.
I temi economici sono, dunque, destinati a essere decisivi nel cammino del nuovo esecutivo. Speriamo che anche la nuova opposizione li segua da vicino dopo averli colpevolmente trascurati in campagna elettorale. Incomprensibile il suo silenzio sul federalismo (su cui aveva compito facile nell’illustrare come il programma elettorale del «principale esponente dello schieramento avverso» tagliasse pesantemente i trasferimenti alle Regioni più povere) e sull’immigrazione.
Paradossale che il centrodestra sia riuscito a dare un segnale di svolta nelle politiche sugli immigrati quando i flussi vengono ancora gestiti con la legge Bossi-Fini. Certo la passata legislatura ci ha messo di suo con l’indulto, che ha incoraggiato l’immigrazione dei criminali.
Tito Boeri - economista - articolo apparso sulla Stampa
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