Ha ragione chi ha notato che il nuovo Parlamento italiano nato dalle elezioni di domenica e lunedì sarà l'unico dei principali parlamenti europei dove non troverà posto alcun partito che nel nome si richiami al socialismo o al comunismo. E questo accade nonostante che, come è noto, partiti con quei nomi abbiano segnato profondamente per decenni la storia della sinistra italiana e, insieme, la storia del Paese. Siamo di fronte, insomma, a una svolta profonda non solo del nostro sistema politico, ma della nostra intera vicenda nazionale, del lungo e tormentato configurarsi delle culture politiche italiane. Svolta tanto più significativa in quanto poi coincide con lo schierarsi elettorale a destra di tutto il Nord, cioè delle regioni più industriose, più ricche e più avanzate della penisola, un tempo, in molte zone, roccaforti della sinistra che aveva il socialismo o il comunismo nella propria insegna.
Da questo punto di vista è oltremodo indicativo il sorprendente successo della Lega in una regione come l'Emilia Romagna, con oltre il 7% dei voti alla Camera. In realtà la Prima Repubblica non è finita nel 1994, è finita ieri; e il terremoto che ha colpito la sinistra può essere interpretato come la conseguenza del modo miope e insufficiente con cui proprio la sinistra affrontò 15 anni fa la crisi di quella fase della democrazia italiana, non cogliendone né il significato né le implicazioni. E perciò riducendosi oggettivamente, allora e poi, a un ruolo di puro e semplice freno anziché di spinta e di direzione. Ciò che portò alla fine la Prima Repubblica fu essenzialmente la mancanza di alternativa di governo, il fatto che per svariati decenni a reggere il Paese fossero più o meno sempre le stesse forze. Uno degli effetti ne fu per l'appunto la vasta corruzione (da qui Mani Pulite), insieme alla progressiva decrepitezza dei meccanismi e degli strumenti amministrativi (per primi quelli dell'amministrazione statale) e all' inamovibilità castale delle élites del Paese in quasi tutti i campi. Inutile dire il motivo della mancanza per tanto tempo di una credibile alternativa di governo: la presenza all'opposizione di un Partito comunista il cui sfondo ideologico e la cui collocazione internazionale, essendo entrambi storicamente contigui alla vicenda bolscevico- sovietica, non lo legittimavano a governare una democrazia occidentale come l'Italia.
La fine dei partiti di governo della Prima Repubblica (Dc e Psi) per effetto delle inchieste giudiziarie di Di Pietro non ebbe l’effetto di spingere quelli che erano ormai i reduci del naufragio comunista a una revisione radicale della propria storia. E neppure li indusse a una rivisitazione altrettanto radicale di tutto l'impianto socio- statuale italiano, delle reti d'interesse, dei luoghi di potere accreditati, delle convenzioni bizantine, delle fame posticce di un regime ormai alle corde. Ebbe anzi un effetto paradossalmente pressoché opposto. Indusse gli ex comunisti a considerarsi quasi come i curatori testamentari di questo insieme di lasciti, facendosi catturare dalla tentazione di poterne addirittura diventare agevolmente gli eredi. Ciò che infatti cominciò fin da subito a verificarsi. Con la conseguenza però che abbagliati da questa facile conquista gli scampati al naufragio comunista non sentirono più l'urgente necessità, che invece avrebbero dovuto sentire, di buttare a mare alla svelta il proprio patrimonio ideologico, di ravvedersi senza esitazioni delle loro mille cantonate, di prendere coraggiosamente un nome e un abito nuovi. O, se lo fecero, presero a farlo con tempi politicamente biblici, dell'ordine degli anni.
Nel frattempo, come dicevo, orfano della protezione un tempo elargitagli dalla Dc e dal Psi, il potere tradizionale italiano cresciuto e prosperato sotto la Prima Repubblica si apriva volenterosamente a quelli che esso riteneva ormai i nuovi padroni della situazione. In breve tutto l'establisment economico- finanziario del Paese, tutta la cultura, tutta la burocrazia, tutti gli apparati di governo, dalla polizia alla magistratura, gran parte del vecchio cattolicesimo politico divennero o si dissero di sinistra. Ma proprio la massiccia operazione di riciclaggio e di «entrismo» da parte dei vertici della società italiana e dei suoi poteri, nell'area della sinistra ex Pci, insieme all'esasperante lentezza con cui procedeva la revisione ideologica di questa, hanno valso a porre il partito della sinistra ex comunista, nell'ultimo dodicennio, in una posizione sostanzialmente conservatrice. L’hanno reso di fatto il tutore massimo dell'esistente, incapace di comprendere i grandi fatti nuovi che si andavano producendo nel Paese, di rompere incrostazioni e tabù, restio a politiche animate da coraggio e da fantasia, timoroso infine di rompere le vecchie solidarietà frontiste. In vario modo questa parte, invece, se la sono aggiudicata fin dal 1994 le varie destre che allora videro la luce e/o che allora presero a ricomporsi.
Le quali, a cominciare da Berlusconi, hanno invece avuto facile gioco, esse sì, ad apparire fino ad oggi (e quale che fosse la realtà) tese al cambiamento, lontane dal potere costituito, prive di troppi pregiudizi ideologici, in sintonia con la pancia e con le esigenze più vere del Paese. Il merito indiscutibile di Walter Veltroni è stato quello di capire che sulla strada iniziata nel lontano 1993-94 la sinistra non poteva più procedere. Prendere le distanze dal governo Prodi ha voluto dire precisamente prendere visibilmente le distanze dalla tradizione. Da quella tradizione italiana che se da un lato era servita a far vivere il nome del socialismo e del comunismo, dall' altro però aveva reso sempre impossibile— ai partiti che ne portavano i nomi— qualunque autonomo ruolo politico innovativo alla guida del Paese. Veltroni ha capito che bisognava cancellare questa storia, la quale era stata anche tanta parte della storia della prima Prima Repubblica; che era finalmente giunto il momento di porre fine alla Prima Repubblica. Per farlo ha oggi dovuto pagare un prezzo assai alto, certo. Ma i conti veri, come sempre, si potranno fare solo alla fine.
Ernesto Galli Della Loggia
4 commenti:
guarda, sinceramene io penso che la sinistra in italia non è per niente finita.
Questi anni di assenza dal parlamento serviranno alla sinistra per avvicinarsi di nuovo alle masse, agli operai.
Ora la sinistra è libera di manifestare, libera di scioperare con i lavoratori e di creare quel legame intimo che prima aveva col sindacato.
Io sono quasi sicuro che ci sarà una rinascita della sinistra.
Aldo Bonomi «Bossi & Co. hanno dato risposte, quasi dei nuovi sindacati»
Intervista di Luigina Venturelli - L'Unità
Intervista di Luigina Venturelli - L'Unità
«Il Partito democratico è giunto troppo tardi per ricucire i rapporti con il Nord. È arrivato a chiudere il recinto quando i buoi erano ormai scappati». Il sociologo Aldo Bonomi sta parlando della valanga di voti lombardi e veneti arrivati in dote al Carroccio dalle urne.
Ovvero, dei ceti sociali alle prese con le difficoltà della modernizzazione: le comunità locali in preda allo spaesamento e allo smarrimento identitario, le piccole e piccolissime imprese di fronte alla globalizzazione, i ceti operai delle zone industriali ormai dismesse.
«La Lega ha raccolto i frutti del suo radicamento sul territorio, mentre il Partito democratico, pur avendo riconosciuto i processi in corso nelle regioni settentrionali, le ha sorvolate senza esservi radicato».
Il direttore dell’istituto di ricerca Aaster, del resto, l’aveva previsto. Proprio ieri ha esordito nelle librerie Il rancore, il suo ultimo saggio per andare Alle radici del malesserre del Nord, edito da Feltrinelli.
Aldo Bonomi, esiste un rapporto di causa effetto tra questo rancore e il risultato elettorale del Carroccio?
«No, sarebbe un grave errore leggere il voto leghista solo come un voto rancoroso di protesta. La Lega non è rimasta ancorata al passato, ma ha seguito i ceti sociali di riferimento nell’evoluzione degli ultimi anni: le comunità montane alle prese con la modernità imposta dal turismo alpino, il capitalismo molecolare messo alla prova dalla necessità di competere, gli orfani del fordismo di fronte alle città trasformate in enormi bacini del terziario».
In che modo la Lega ha saputo riconquistare il consenso di questi pezzi della società settentrionale?
«Dopo la fase istituzionale nata dall’incontro con Berlusconi e con il suo individualismo proprietario, la Lega ha raccolto il malessere per la modernizzazione incompiuta, cioè per la mancanza di infrastrutture come strade, reti logistiche, servizi. Una mancanza che ha assunto i nomi di Pedemontana, passante di Mestre, Brebemi e, ovviamente, Malpensa, che di queste passioni è diventata il simbolo».
Eppure il Carroccio non può definirsi un campione di modernità. La dottrina Tremonti insegna: la globalizzazione è vista come un pericolo da cui proteggersi, non come un’opportunità.
«Infatti si tratta di ceti sociali in difficoltà: questi tessuti produttivi chiedono alla politica protezione dalla globalizzazione, chiedono di essere accompagnati nella sfida per competere, e a volte si lasciano prendere dal rancore: se ci lasciate i nostri soldi, allora ci arrangiamo da soli. In questo senso la Lega si presenta come una nuova forma di sindacalismo, il sindacalismo dei luoghi».
Dunque, la secessione dolce di cui parla nel suo libro.
«Il quadro perfetto dell’incontro tra la Lega e il partito di Berlusconi si può osservare nel CAL, il consorzio concessionarie autostrade lombarde voluto da Formigoni: se lo Stato non ci fa le autostrade, allora ce le facciamo noi».
Che cosa ci dobbiamo aspettare dal governo Berlusconi ter?
«Vedremo come si evolverà questo modello bavarese: come l’insieme di due polarità contrapposte, da un lato l’Expo e dall’altro la caccia ai rom, o come l’avvio di un percorso di riforme, a cominciare dal federalismo fiscale».
Quale compito attende, invece, il Partito democratico?
«È necessario territorializzare la politica, il Partito democratico deve tornare al territorio per recuperare il consenso del Nord. Il centrosinistra ha lavorato, ha espresso persone di grande competenza come Chiamparino, Penati, Illy e Cacciari, che in questa campagna elettorale non sono però state spese fino in fondo».
wwww.partitodemocratico.it
SILVIO GRAZIE DI TUTTO
Prima di ringraziarlo aspetta almeno che cominci a fare danni.
La differenza tra chi gli ha o meno creduto non è antropologica, ma di memoria.
Io i disastri che hanno combinato fino a 2 anni fa non li ho dimenticati.
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